In apertura di questo spazio si ritiene opportuno presentarne l’oggetto. “DI” è una sillaba che si presta a svariate declinazioni: DI-versita’, DI-sabilità, DI-ritti, DI-scriminazione; ciascuno di essi può rappresentare un termine “ombrello” in grado di comprendere gli altri.
La DIsabilità, che costituisce il tema QUI precipuo, viene comunemente intesa come una diversità e, sovente, si lega a questioni riguardanti diritti e discriminazioni.
L’obiettivo è quello di affrontare la “DIsabilità” come macro-argomento partendo da un’analisi del reale che scansi facili categorizzazioni, che rischiano di appiattire l’estrema varietà che il mondo della disabilità disvela, eviti atteggiamenti pietistici ed eviti il ricorso ad un “politicamente corretto” che mal si lega allo spirito che anima questo spazio.
Uno spazio, difatti, che non vuole essere neutro perché volto a mostrare la disabilità da una prospettiva diversa dalla consueta e si focalizzi sui meccanismi di varia natura che producono l’esclusione delle persone con disabilità dalla vita sociale.
Il primo punto che si è scelto di trattare attiene proprio alla recente definizione di disabilità la quale sgombera il campo dalle decennali polemiche sul termine da impiegare per designarla.
L’articolo 2 del d. lgs 62/2024 stabilisce che l’unica denominazione legalmente corretta sia “Persona con disabilità” che subentra a quella relativa all’art. 3 comma 1 della l. 104/92 e la sostituisce completamente.
Vengono dunque a decadere definitivamente termini quali: handicappato, minorato, diversamente abile, disabile.
La definizione mira a porre in risalto la Persona piuttosto che una sua caratteristica, ovvero la disabilità, e ad ovviare tutti quegli aggettivi che tendono a connotare negativamente la persona. Per quanto una condizione di disabilità possa condizionare l’esistenza di una persona è sempre quest’ultima che va considerata nella sua interezza e non il contrario.
Nessuno di Noi può essere ridotto ad un’etichetta clinica.
La questione linguistica è tutt’altro che formale nella consapevolezza che la parola risulta determinante nel veicolare il pensiero, costruire immaginari e classificare il mondo.
Chiamare le persone con termini che, collettivamente, vengono intesi come screditanti significa già attribuir loro un implicito giudizio di valore: asserire che un tizio sia “invalido”, “ritardato” o “disabile” diventa chiaramente stigmatizzante ed è differente dall’espressione “persona con disabilità” perché quest’ultima suona come Neutra e meramente descrittiva.
In conclusione si invitano i lettori a rendersi partecipi di questo spazio che auspica di raccogliere le Vostre riflessioni e le Vostre esperienze con la DIsabilità: è importante che la narrazione ritorni a chi una condizione di disabilità la vive, direttamente o indirettamente. È importante perché fino ad ora il tema disabilità, con tutti i pregiudizi e gli stereotipi che ne sono discesi, è stato affrontato e diffuso in termini prettamente medico-clinici e quindi orientati ad inquadrarla esclusivamente in termini (biologici) di lesione. Su questa scorta è evidente come la DIsabilità continui a passare come “minorazione” piuttosto che come un diverso funzionamento o, meglio ancora, una diversa maniera di stare al mondo.
Se vuoi raccontare la tua storia o la storia di una persona con disabilità a te cara o un’esperienza, anche un progetto o una realtà sorta a tutela, promozione e valorizzazione delle persone con disabilità, scrivi a garante.disabilita@comune.giarre.ct.it
Nota a margine – l’immagine di copertina è uno dei lavori del vignettista Vauro Senesi de è stata utilizzata perché la si è trovata estremamente esauriente ed in linea con quanto sopra.