Il “Cinema Impero” di Mascali, a metà del Novecento, attraverso il libro “Muntagnemari” di Salvatore Fichera -
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Il “Cinema Impero” di Mascali, a metà del Novecento, attraverso il libro “Muntagnemari” di Salvatore Fichera

Il “Cinema Impero” di Mascali, a metà del Novecento, attraverso il libro “Muntagnemari” di Salvatore Fichera

Sono ormai quattro anni da quando è stato pubblicato uno dei libri più iconici sulla realtà sociale e umana di Mascali nei primi decenni del secondo dopoguerra. Infatti, era il 2021, quando, per Amazon Kdp, veniva alla luce “Muntagnemari” del prof. Salvatore Fichera. Il testo è un fiorire di racconti, tratti dalla vita vera, dagli accadimenti reali del tempo, filtrati attraverso la memoria, ed è costituito da undici capitoli (“La montagna e il mare”; “Nuove realtà”; “Calciatori”; “Beata Gioventù”; “Il territorio e le persone”; “Tutti al cinema”; “La scuola”; “I cammiri”; “Il siculo-italiano”; “Il dottore”; “Varia umanità”). Di questo libro, prendiamo in esame, fra i tutti godibilissimi, un capitolo, “Tutti al cinema”, in cui sono riportati i ricordi di una delle sue “istituzioni culturali” più importanti in quei lontani anni, il “Cinema Impero”, che si trovava sulla Via Siculo-Orientale, nella parte bassa del paese, e di proprietà del mitico e rimpianto don Carmelo Susinni (Foto sotto – Via Siculo-Orientale, con in fondo una casa bianca un tempo sede del “Cinema Impero”).

Fichera, all’inizio del capitolo, ricorda di un vecchietto che, tutte le sere, recandosi a quel cinema, col suo immancabile bastone, dopo aver salutato i presenti, si rivolgeva, oltre alla parete, all’operatore, relativamente al film da proiettare, con l’espressione “Attia, scattulu bonu dintr’o saccu!”. Ricorda, Fichera, delle tante pellicole dei film mutilate di molte scene (pellicole spesso usurate dal tempo), per cui l’azione trapassava, in una sala sovente satura di fumo, all’improvviso, da una scena ad un’altra senza alcun apparente significato. Nei film western, era determinante individuare subito chi erano “i nostri”, per cui quando qualcuno entrava a proiezione già iniziata, chiedeva, subito, per suo chiarimento, “Cu sunu i nostri?”. Nell’intervallo, durante le proiezioni, per la sala del “Cinema Impero”, passava l’immancabile venditore di “caramelle, bomboloni, ciocolatti!” e anche di cuscini, nel periodo estivo, che servivano ad alleviare il disagio del fondoschiena costretto alla tortura metallica di quelle poco comode sedie; e, poi, sostituito il vecchio venditore, ormai malato e claudicante, con uno più giovane, questi vociava i suoi nuovi articoli di vendita, “Passatempo simenza, caramelie!”. Per molti anni, fra il pubblico, era sempre presente una coppia di sposi, infaticabili lavoratori, una donna alta e muscolosa, che portava sulla canna di bicicletta il marito minuto e mingherlino; durante la proiezione dei film western, mentre il marito spesso dormiva, la donna, si affrettava a gridare al cowboy o al giovane ufficiale del settimo cavalleggeri, agguatati dal solito cattivo indiano, “St’attentu!”, e a duro muso inveiva contro il pellerossa con l’espressione “Cosa fitusa!” e quando questi, immancabilmente, veniva ucciso dagli uomini bianchi, riceveva da quell’energumena, per tutta risposta, la frase “E ora comu ne ti veni facc’i vilenu”.

Nei giorni festivi, invece, i film erano di più alta qualità e l’umanità presente era quella più educata e tranquilla delle famiglie; erano i giorni della proiezione dei “kolossal”, spesso strappalacrime, fra i quali ebbe grande successo e lungo periodo di proiezione “Balocchi e profumi”, la cui protagonista riceveva, dal pubblico in sala, le invettive le più inimmaginabili, fra le quali quelle “Cosa tinta”, “Malacunnutta” e “Burdillara”. Ma, una domenica, durante la proiezione di un altro “kolossal”, l’operatore, distratto, proiettò il terzo tempo al posto del secondo, fra l’incapacità del pubblico di raccapezzarsi sull’itinerario logico della trama, tanto che, scoppiato il finimondo, molti, ad un dato punto, ripetevano, “Ma chiddu non era mortu!?”:.

In quei primi anni Cinquanta, furono proiettati molti film che ebbero, come attori protagonisti, il famoso cantante napoletano Giacomo Rondinella, Maria Fiore e Tina Pica, e, come spesso capitava, il personaggio interpretato da Rondinella si invaghita di una qualche avvenente straniera o di qualche “malafemmena” bella e ricca; e, così, a Mascali, si venne a formare una sorta di club virtuale di fan tutte invaghite fino allo spasmo del bel Giacomo Rondinella. Un giorno, qualche buontempone sparse la voce che, una certa mattina, l’attore Giacomo Rondinella sarebbe passato per la Statale e si sarebbe fermato proprio al “Cinema Impero” di Mascali; e, così, quel giorno fatidico, la più esasperata fra le fan, di buon mattino, si fece trovare all’ingresso del Cinema con un enorme mazzo di fiori appoggiato sul suo prosperoso seno; e, rapidamente, si formò, attorno a lei, un nugolo immane di donne deliranti al passaggio di ogni macchina, che, a quei tempi, erano rare e infrequenti; le malcapitate auto, che si trovavano lì a passare, si vedevano, dunque, come assalite, per cui, fra lo sconcerto dei loro occupanti, velocemente si allontanavano come alla meglio potevano; poi, all’ora più tarda del mattino, il buontempone che aveva organizzato lo scherzo, diffuse la voce che, chissà per quale intoppo, Giacomo Rondinella non sarebbe più passato, per cui, fra la delusione generale, quella ardente e ardita signore distribuì i suoi fiori agli astanti che, mogi mogi, ritornarono, beffati e amareggiati, al lauto pranzo delle loro case.

Gabriele Garufi

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