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Catania: la ricerca della “santità senza Dio” in Albert Camus e in Antero de Quental oggetto di un incontro curato dal prof. Salvatore Statello

Nella ricorrenza del I centenario della nascita di Albert Camus, per l’Archeoclub di Catania, presieduto dalla prof.ssa Giusi Liuzzo, presso l’anfiteatro della Scuola “Pizzigoni” di Catania, alcuni giorni fa il prof. Salvatore Statello ha parlato de «La ricerca della “santità senza Dio” in Albert Camus e in Antero de Quental». Ricordiamo che il prof. Statello non è nuovo agli studi su Camus, en passant ricordiamo: Albert Camus tra religiosità e antiteismo, e La morale d’Albert Camus, entrambi pubblicati da una rivista della Valmartina Editore. Lo stesso si può dire del poeta e filosofo portoghese, Antero de Quental e, soprattutto, del suo confronto col nostro Leopardi.

Introducendo l’argomento, Statello ha tracciato il profilo umano, letterario e filosofico dei due autori, evidenziando i temi pertinenti all’argomento. Soffermandosi soprattutto su La Peste, (non trascurando le opere teatrali e filosofiche) l’attenzione si è concentrata sul tema del male e dei diversi modi di viverlo ed affrontarlo, considerando la ricerca della santità per Camus proprio nel reagire al dolore assoluto, combattendo con coraggio in nome di una superiore forza morale, che trova il suo fondamento nella coscienza del singolo che si sente solidale con i suoi simili, affetti e, a volte, soccombenti dinanzi alla prepotenza del male, trovando ancora le radici per conseguire questo stato di santità, nella simpatia e nella comprensione. Infatti, per i personaggi de La Peste, si può avere vergogna ad essere felici da soli, poiché ci sono negli uomini più cose da ammirare che da disprezzare. Per la salvezza dei propri simili, ancora, i suoi personaggi, abbandonati al proprio tragico destino poiché Dio non può fare nulla e la giustizia è un loro affare, assumono personalmente le sventure del mondo.

Non molto dissimile è l’atteggiamento di Antero de Quental, poeta e filosofo portoghese del diciannovesimo secolo, dalla sensibilità tardo-romantica, seguace soprattutto delle idee di Proudhon e di Michelet, nonché della filosofia neoplatonica e della dottrina di Budda, con forte tendenza al misticismo (forse anche a causa della saudade), tanto da dire: “penso come Proudhon e Michelet, ma sento, immagino e sono come l’autore dell’Imitazione di Cristo, e per questo tormentato e alternativamente oscillante verso un ideale di salvezza in Dio e il suo totale rifiuto”. Anche Antero de Quental, nella sua corrispondenza e nel suo saggio filosofico “Tendenze generali della filosofia nella seconda metà del diciannovesimo secolo”, spesso fa riferimento alla santità (senza Dio) come elemento della totale abnegazione, della perfezione umana e come “termine ultimo di tutta l’evoluzione”, così come Camus l’aveva espresso nella solidarietà. Mentre, nei suoi Sonetti, il suo capolavoro e una delle migliori opere letterarie di tutta la produzione poetica portoghese, si evince il dramma interiore della ricerca religiosa, tra il desiderio di trovare pace in Dio e il suo rifiuto, anche ridicolizzandolo.

Essendo vissuto alla fin de siècle, l’epoca dei poeti maledetti, in cui il genio si coniugava con la follia, Antero ne incarna tutte le caratteristiche, tanto che conclude la sua vita con il suicidio nella pubblica piazza del suo paese natale, Ponta Delgada, un paesino delle Isole Azzorre, l’11 settembre 1892, all’età di 49 anni. Anche la fine di Camus, suo malgrado, però, si è conclusa tragicamente con un incidente stradale il 4 gennaio 1960, avendo appena compiuto 46 anni di età.

Mario Di Nuzzo

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