Amy Lyon: l’incontro con Sir Hamilton -
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Amy Lyon: l’incontro con Sir Hamilton

Amy Lyon: l’incontro con Sir Hamilton

Emily non avrebbe mai potuto immaginare che nel futuro Regno delle Due Sicilie, l’attendevano la gloria e la ricchezza

Nell’agosto del 1783, mentre Charles Greville iniziava ad avere serie difficoltà economiche, sir William Hamilton tornò a Londra da Napoli, per un congedo di un anno. Era vedovo dall’agosto precedente. Aveva cinquantatre anni, ma ne dimostrava molti meno: gran cacciatore, conversatore spiritoso, ballava benissimo e suonava eccellentemente il violino. Diplomatico di indiscussa capacità, plenipotenziario di Sua Maestà nel Regno delle Due Sicilie, era un’autorità nell’archeologia, nella mineralogia, nella sismologia, e nella vulcanologia. Greville gli presentò Emily e sir William ne rimase incantato. Anche Emily rimase subito sedotta dall’atteggiamento galante del maturo gentiluomo e dalla sua esuberante gaiezza, tanto diversa dal carattere serioso di sir Charles. A poco a poco, l’Ambasciatore divenne assiduo della casa di Edgware Road: si era messo in testa di iniziare Emily alla storia dell’arte antica. Si meravigliava che il nipote avesse fino allora tenuto nascosto quello che egli definiva: «Il più prezioso oggetto d’arte trovato nella mia carriera di collezionista». In effetti, ciò che sir Hamilton apprezzava nella giovane Emily era proprio la sua naturalezza. L’Ambasciatore sorrideva dinnanzi alle sue ingenuità linguistiche, ai suoi errori di sintassi, a tutte le sue goffaggini, che filtravano ancora nonostante gli sforzi per mostrarsi all’altezza. Ne rimase così affascinato che, ripartendo per Napoli volle portare con sé un ritratto di Emily in posa di Baccante, realizzato dal suo amico pittore Reynolds.

Sir Hamilton tornò a Londra verso la fine di maggio del 1784. Rivide spesso la coppia, sempre a Edgware Row. Mai Greville giudicò opportuno proporre alla sua amante di unirsi a loro per andare a cena in città. Le rare volte in cui lo consentì, fu costretto a rimpiangere di averlo fatto, poiché, non appena veniva esposta alla luce, Emily attirava tutti gli sguardi degli ammiratori, risvegliando sensuali desideri.

Intanto, ossessionato dalle sue precarie condizioni economiche, Greville cominciò a convincersi che per assicurarsi una certa stabilità, avrebbe dovuto sposare una donna ricca. E per farlo, occorreva recuperare la libertà. Ma, da vero gentiluomo, voleva trovare un modo per assicurare il futuro alla giovane Emily. Un nome gli venne in mente con molta naturalezza: quello dello zio! Dopotutto sir Hamilton era un gentiluomo nel senso più nobile del termine, e apprezzava Emily, dalla quale era peraltro ricambiato. Iniziò così a dar corso al suo delicato progetto… pareva far di tutto per spingere lo zio a far la corte a Emma e quest’ultima a mostrarsi compiacente con l’anziano diplomatico. Con la scusa di dover accompagnare lo zio per affari riguardanti le sue proprietà, Greville convinse Emily ad approfittare della sua assenza per recarsi ad Hawarden, in compagnia della madre, a trovare i nonni, la figlioletta “Little Amy”, e per trascorrere la stagione balneare ad Abergele (come ottimo rimedio per il suo eczema).

Emily partì a malincuore… Seguirono una serie di lettere. La prima è del 12 giugno1784: «Sono desolata di non aver avuto ancora una vostra lettera. Non posso andare ad Abergele, che è a quaranta miglia di qui, ed è una spiaggia tutt’altro che invitante; andrò invece a Parkgate, solo posto, a parte Highlake, dove posso andare. (…) Vi prego, caro Greville, scrivetemi subito o mandatemi una parola di conforto. Sono stata così infelice di lasciarvi! (…) Addio, mio caro e sempre adorato, e credimi, la vostra Emily sincera per la vita».

Emily ne scrisse altre più o meno tutte sullo stesso tono: infelicità per la separazione, speranza di poter riunirsi presto, calde dichiarazioni d’amore per sir Charles: «Vi prego, caro Greville, richiamatemi a casa appena possibile: io sono molto triste lontana da te e vi penso costantemente. Quand’anche fossi la più grande dama d’Inghilterra, non potrei essere felice senza di voi (…) Dite a sir William che il mio stato di disperazione al momento della partenza mi ha impedito di abbracciarlo: ero troppo emozionata».

Le lettere di Emily ritornano varie volte sull’argomento di sir William: «Domandate a sir William che opinione abbia di me e autorizzatelo a dirmi qualcosa di carino nella vostra lettera». «Ditele che io penserò sempre a lui con riconoscenza, che mi ricorderò di lui con piacere, e che mi dispiace di essermi separata dalla sua piacevole compagnia (…)». Ma, indubbiamente, il suo cuore batteva per Charles: «Voi non immaginate neppure quanto io vi ami».

Per quasi tre settimane Greville non si fece vivo, con gran disperazione di Emily. Probabilmente, c’era in quell’ostinato silenzio un calcolo preciso: il voler preparare la giovane amante al futuro distacco. Di contro, la corrispondenza di Emily non solo non mostra dubbi sui reali sentimenti d’amore che la legavano a Greville, ma esclude da parte sua qualsiasi sospetto che le loro esistenze potessero separarsi: e anche gli innocenti accenni a sir William provano in modo irrefutabile che ella era totalmente all’oscuro dei piani che i due stavano elaborando. Dalle lettere, inoltre, emerge chiaramente il carattere di una donna sincera, tutt’altro che scaltra, se mai fin troppo ingenua e ansiosa di redimersi da un passato poco edificante.

Approfittando dell’assenza di Emily, Grenville informò lo zio della sua precaria situazione economica e che solo un ricco matrimonio l’avrebbe potuto salvare. Per tali motivi, lo pregava di prendere sotto la sua protezione la giovane Emily, affinché ella potesse ottenere un posto onorevole nella società. Sir William convenne col nipote che, per il momento, l’idea gli sembrava prematura e che, tutt’al più, egli avrebbe potuto, sfoggiando le consumate arti della sua esperienza diplomatica, fare qualche discreta avance alla giovane donna, mettendola al corrente della difficile condizione di Charles. Ciò che Greville non disse fu che il maggiore e più temuto pericolo era rappresentato dalla possibilità di nuove nozze di sir William, e magari dalla nascita di un figlio che avrebbe certo indotto il diplomatico a cambiare il suo testamento. Proponendogli Emily come amante avrebbe, invece, risolto i suoi guai finanziari e scongiurato un possibile matrimonio dello zio.

Ai primi di agosto 1784, Emily rientrò finalmente a casa. La vita riprese in Edgware Road, apparentemente senza cambiamenti, ma in realtà c’era fra i due uomini un’aria di complicità che sembrava sfuggire a Emily, salvo che per le manifestazioni di sir William nei suoi confronti, che si facevano sempre più entusiastiche. Quando l’Ambasciatore dovette ritornare a Napoli, Charles continuò ad alimentare per iscritto l’attrazione dello zio verso Emily, ora spedendogli un ritratto che Romney le aveva fatto, ora vantando i suoi progressi nell’educazione al saper vivere in società. Desiderava a qualsiasi costo che lord Hamilton accogliesse Emily sotto il suo tetto.

Così, nel marzo 1785 gli scrisse di aver conosciuto una ricca ereditiera, miss Henrietta, seconda figlia di Lord Middleton, pregandolo di intervenire in suo favore presso l’illustre casato per chiederne la mano ed assicurare che il nipote sarebbe stato il suo erede universale (Malgrado l’intervento di sir Hamilton, la figlia di lord Middleton rifiutò Greville. Questi non riuscì a trovare nessun’altra ereditiera e, nonostante la carica di viceciambellano ottenuta da Pitt, non fece neppure carriera in politica. Le successive nozze di Emily con sir William lo privarono dell’agognata eredità, ed egli si trovò senza un soldo. Si ridusse a sposare una donna mediocre e nient’affatto ricca da cui non ebbe figli. Una svolta che gli parve decisiva fu quando, nel 1801, suo zio, tornato in Inghilterra, rifece il testamento e, anziché Emily, lasciò erede lui: essendo morto poco dopo sir William, Greville prese possesso dei suoi beni presso Swansea, con il solo obbligo di pagare a Emily una modesta pensione. A poco a poco, e specialmente dopo la morte di Nelson, però, cominciò a differire i pagamenti con i pretesti più vari e talvolta a sospenderli del tutto. Vide così ridursi in miseria la sua ex amante, alla quale negò tenacemente ogni aiuto, ma il destino non gli riservò una sorte migliore: rimase vedovo, si ammalò e passò tristemente i suoi ultimi anni in quello stesso quartiere di Paddington, non lontano da Edgware Road, dove morì, compianto da pochi, nel 1809, a sessantun anni. Emily doveva sopravvivergli per poco più di cinque anni).

Tra l’estate, l’autunno e l’inverno del 1785 seguì un ricco epistolario tra Greville e lord Hamilton. Quest’ultimo, con grandissima umanità, fece di tutto per indurre il nipote a rinunciare ai progetti matrimoniali con la ricca ereditiera e ad andare avanti con Emily. Tant’è che il 1° giugno 1785 gli scrisse: «Mio caro Charles, se dovessi morire, il testamento che ho redatto a Londra, depositato presso Lincoln, il mio notaio, e di cui possiedo una copia, fa di voi il mio erede universale. Preciso che questo documento è stato redatto subito dopo la morte di mia moglie. Questo gesto vi conferma che siete la persona che stimo di più al mondo. Se non ve ne ho informato prima, è perché conosco i casi della vita: sono così variabili che nessuno può garantire ciò che accadrà. (…) Per quanto riguarda Emma, sono disposto ad accettare la vostra richiesta e ad accoglierla, perché è una persona che amo molto e di cui penso ogni bene. Tuttavia, mio caro Charles, (…) non vi consiglio di porre veramente termine alla vostra relazione. (…) Sinceramente, preferirei avervi tutti e due qui a Napoli, vicino a me, piuttosto che avere Emma solo per me. So di essere sensibile, e non possiedo armi sufficienti per conquistare una simile bellezza».

Non si comprende come mai Greville non si sia approfittato della nuova situazione. Anzi, continuò nella sua opera di persuasione fin quando sir William si dimostrò disposto a prendere Emily sotto la sua protezione. Infine, con la scusa di doversi assentare alcuni mesi per affari, convinse Emily ad accettare l’idea di un soggiorno a Napoli, ospite dello zio, e a scrivergli (il 3 dicembre 1785) in proposito: «Caro sir William, (…) vorrei farvi una proposta che mi lusingo non vi sarà sgradita. (…) siccome Greville, l’estate prossima, sarà costretto ad assentarsi, mi ha gentilmente offerto, se voi siete d’accordo, di farmi venire a Napoli per 6 o 8 mesi; alla fine di quel periodo verrà a prendermi per riportarmi a casa, e, quando verrà, si fermerà un poco, e so che sarete lieto di vederlo. (…)».

Si potrebbe pertanto concludere, che Greville aspirava davvero a trovare una sistemazione per Emily, convinto che solo presso suo zio lei avrebbe potuto sopportare nel modo migliore la loro separazione. Dopotutto, se avesse davvero voluto sbarazzarsi della sua amante, avrebbe potuto cederla a qualcun altro.

Il 13 marzo 1786, Emily e sua madre, accompagnate gentilmente dal pittore Gavin Hamilton (che rientrava a Roma), partirono per Napoli. Per circa cinque anni, Emily era stata una ragazza tranquilla, senza sbandamenti, al fianco di un uomo che amava e che le appariva ormai come un’ancora di salvezza permanente. Ricostruendo la sua condotta da quando era andata ad abitare a Edgware Road, non riteneva che le si potessero addebitare colpe. Era stata una compagna affettuosa, aveva tratto profitto dalle lezioni che le venivano impartite e si era trasformata in breve tempo, così come le era stato chiesto, da vagabonda in donzella di buone maniere. Ammetteva sì di avere le mani bucate, di aver superato spesso il limite di spesa che le era stato imposto, ma considerava questa una debolezza perdonabile, anche se Greville disponeva di un patrimonio modesto, non pensava di correre rischi. Nel suo infinito dolore ignorava che laggiù, nel futuro Regno delle Due Sicilie, l’attendevano la gloria e la ricchezza…

(4. – “Amy Lyon: una lady alla Corte di Napoli” 2013)

Roberta Mangano

Salvatore Musumeci

[blockquote style=”1″]«Le donne più felici, come le nazioni più felici, non hanno storia» (George Eliot) [/blockquote]

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