"La tuta nuova", il nuovo romanzo di Franco Pappalardo La Rosa -
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“La tuta nuova”, il nuovo romanzo di Franco Pappalardo La Rosa

“La tuta nuova”, il nuovo romanzo di Franco Pappalardo La Rosa

“La tuta nuova” è il titolo dell’ultimo romanzo di Franco Pappalardo La Rosa. Ambientato a Torino durante la forte emigrazione, soprattutto meridionale, degli anni sessanta e settanta per un lavoro presso la fabbrica Fiat , anzi la Itaf come anagrammato dall’autore.

Lo spazio della fabbrica automobilistica, dove si consuma l’intreccio del romanzo, è la metafora dell’Italia di quegli anni, in cui si sono misurati i rapporti tra la folta classe operaia, spesso non molto scolarizzata ma con una coscienza della propria appartenenza, e i padroni. Entrambi forti perché l’uno aveva bisogno dell’altro.

Se il padrone era uno solo e potente, la classe operaia era costituita da donne e uomini costrette/i ad affrontare i problemi quotidiani della fabbrica e della famiglia che viveva di salario in una città ricca. Per i nuovi arrivati anche il cambiamento del clima era un problema da metabolizzare. In questo spazio chiuso di lavoro, quasi ristretto, dove c’è posto anche per l’amore tra giovani, si muovono i personaggi che dialogano con i loro rispettivi dialetti d’origine.

Nel romanzo viene descritta una classe operaia senza retorica e trionfalismi, dove convivono le paure e le ragioni degli operai crumiri e quelle dei più sindacalizzati.

All’interno di questo universo appare uno sconosciuto in nuova tuta da lavoro, con capelli lunghi e barba corta rossa e quasi scalzo, che ogni mattina e tutte le sere sostava presso i cancelli della fabbrica. Forse una spia del padrone, forse un inviato del partito per il controllo della manifestazione sindacale si chiedono gli operai, alcuni dei quali decidono di affrontarlo in malo modo, atteggiamento che lo sconosciuto subirà senza rancore.

L’operaio conquisterà la loro fiducia sorreggendo lo striscione della Catìna di montaggio, con parole di fiducia e di incoraggiamento agli verso gli operai. Lui stesso lavorerà presso fabbrica con la tuta che era appartenuta ad uno operaio morto.

Un giorno scomparirà e nessuno lo può rintracciare perché nessuno sa come si chiama. L’operaio senza nome ritorna durante uno sciopero per assicurare gli amici che non si era nascosto, ma era stato sempre con loro a sostenere le loro ragioni. Il sacrificio dell’operaio, con la barba rossa e gli occhi celesti, si consuma durante lo sciopero, quando per i tafferugli insorti contro i crumiri muore sotto lo schianto di una carrucola, nessun altro operaio e padre di famiglia resterà ferito. Gli operai gli chiedono durante l’agonia il suo nome, lui risponde prima di spirare “Sal… va… to… re”.

Un romanzo che si legge in un fiato, che lascia sospesi, dove si legge di una classe operaia italiana che si misura con i valori della sua propria religione, i cui primi adepti erano costituiti da lavoratori che aspiravano ad un mondo più giusto. Il Salvatore, insomma, è stato sempre vicino a chi lavora duramente e onestamente.

Nunziatina Spatafora

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