Presentata a Giarre l’opera letteraria “Se il grano muore” -
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Presentata a Giarre l’opera letteraria “Se il grano muore”

Presentata a Giarre l’opera letteraria “Se il grano muore”

Ha lasciato strascichi di estasi nelle abitudinarie dissertazioni dei presenti, l’eco della conferenza, organizzata dalla  “Società di Storia Patria e Cultura”nei locali di via F.lli Cairoli al fine di rendere omaggio al libro “Se il grano muore”, capolavoro letterario del già preside del Liceo “Gullì e Pennisi” di Acireale Alfonso Sciacca. Il tema del rinnovamento dell’essere emerge con forza dalle righe sciorinate dall’autore. Il messaggio che egli lancia si sostanzia però nella consapevolezza che la metamorfosi in virtù della quale un bambino diventa uomo, non può prescindere dall’amaro sapore della morte o dal dolore per l’epilogo di una stagione.

In particolare, Sciacca, attingendo a tre verbi latini come “Condere”, Componere” e “Depromere” suddivide in tre segmenti non solo la sua esistenza ma anche quella dell’essere umano in generale. La fase del “Condere”, ovvero quella durante la quale un individuo immagazzina informazioni e ricordi, è infatti ascrivibile all’infanzia, la seconda fase, cioè quella del “Componere”, consistendo nella riorganizzazione e nel riordino di quanto memorizzato o vissuto, è ascrivibile all’età adulta, mentre la terza fase, cioè quella del “Depromere”, caratterizzandosi per l’estrapolazione di una visione d’assieme di quanto sperimentato, è riconducibile alla vecchiaia. Spiccata è stata l’enfantizzazione del testo da parte dell’arciprete di Giarre don Domenico Massimino, il quale ha sottolineato come quest’opera sia difficilmente catalogabile in quanto, pur assumendo le caratteristiche di un romanzo autobiografico, non possa essere definita un romanzo tout court.

Il genere cui può essere più facilmente associata l’opera “Se il grano muore”, è dunque quello di un saggio o meglio di un memoriale. Non solo Massimino, ma anche il professor Girolamo Barletta, il professor Mineo e lo stesso autore, hanno evidenziato come in quest’opera, scritta con un linguaggio non barocco ma scorrevole e lineare, spicchi nitidamente il tema del parricidio, ovvero della metaforica uccisione del padre, come risorsa indispensabile per costruire la propria identità dell’uomo. Per la precisione, la maturazione di questa consapevolezza,  nasce dal lutto che l’autore sperimentò da piccolo per la decisione del padre non solo di non rientrare più nel nido familiare una volta conclusasi la guerra, ma anche di vivere il resto dei suoi giorni con il nuovo nucleo familiare che lui stesso si era creato. Partendo da questo dolore, Sciacca costruì il suo percorso di vita nutrendosi dell’affetto delle donne di casa e paradossalmente anche del dramma vissuto dal nonno paterno, addolorato sia per la morte di suo figlio che per la fuga del fratello di quest’ultimo, ovvero del padre del bambino, orientatosi verso una vita fatta di stenti ma comunque distante dalla madre dell’autore. Le scene, le quali si snodano su sfondi che spaziano dal periodo fascista al dopoguerra, per poi arrivare alla fase della scelta tra monarchia e repubblica e a quella degli scontri politici tra democrazia cristiana e partito comunista, sono poi particolarmente scandite dalla presenza di Giacomina in casa Scillamà.

La storia racconta che questa fanciulla fu affidata dalla nonna alle premure della regina d’Italia, la quale a sua volta incaricò le suore di Santa Maria di Gesù dell’orfanotrofio di Caltagirone, di accudirla. Una volta innestasi poi nel tessuto familiare degli Scillamà, la donna si distinse per la sua incrollabile fede nella provvidenza. Fu dunque grazie all’incrollabile fervore religioso di Giacomina e alla fiera compostezza di una madre che all’indomani della guerra fondò la libreria Athena, che il bambino (Alfonso Sciacca) trovò le risorse per scrollarsi di dosso il lutto dell’assenza del padre e trarre dal non essere un’identità plasmata anche dall’amore per la cultura e la sapienza. Dunque il senso del titolo “se il grano muore” è individuabile nel concetto di morte come passaggio fondamentale per rinascere a nuova vita  e compiere quell’evoluzione spirituale indispensabile per non soccombere sotto i colpi delle avversità quotidiane. A questo salto di qualità ovviamente non può non concorrere il patrimonio di valori che gli affetti più cari trasmettono fino a mescolarli indissolubilmente con il profilo interiore di chi li eredita. Teatro dell’opera è la città di Acireale in un romanzo in cui la microstoria è un microcosmo che si intreccia armoniosamente con la macrostoria.

Umberto Trovato

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