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Catania, il passato che non si conosce

Catania, il passato che non si conosce

Presentato il libro “Il crepuscolo della Sicilia Islamica” di Carlo Ruta che racconta una storia di grande splendore perduto

Da esperto di storia sulle vicende che ruotano attorno alle opposte sponde del mar Mediterraneo, di ieri (ma la situazione nel corso dei secoli sembra costantemente ripetersi come sta avvenendo in questi tempi), Carlo Ruta ritorna a Catania per presentare la sua ultima opera “Il crepuscolo della Sicilia islamica” (Edi.bi.si. – Messina, settembre 2014, pagg. 95, € 12,00), con un sottotitolo particolare: “Indagine storica su una violenza etnica continuata”. Nell’accogliente saletta interna di Catania Libri in viale Regina Margherita, tra numerose opere in ceramica di Caltagirone, dai mille colori, finemente dipinti e lavorati a mano e comprendenti anche numerosi volti di gente di origine chiaramente araba, è stato presentato, a cura del sodalizio spontaneo “Sicilia. Punto. Poesia”, rappresentato da Sebastiano Patané e Santina Lazzara, l’ultimissima fatica di Ruta, nato a Ragusa, ultima città strappata dai normanni agli arabi, accompagnando la presentazione con la lettura di poesie, alcune dalla metrica veramente originale, di diversi autori arabi, nati e vissuti nella Sicilia di quell’epoca, che parlano addirittura di “una patria perduta” nelle loro opere, edificata in Sicilia dagli Aghlabidi, dai Fatimidi e dai Kalbiti in oltre due secoli di storia.

L’epoca di una civiltà arabo-normanna, sviluppatasi in Sicilia, e decantata dalla storiografia ufficiale, viene messa in dubbio dall’autore proprio “attraverso la lettura di un numero cospicuo di fonti” anche coeve “ben oltre il mito che celebra gli Altavilla come monarchi illuminati, difensori delle etnie sottomesse e artefici di una terra senza crociati”.
Mentre in Spagna la “reconquista” ad opera dei sovrani cattolici conserva ancora oggi importanti edifici costruiti nel periodo della massima espansione degli arabi in Europa, in Sicilia, invece, non ci restano soltanto che i numerosi cognomi e le tante località di chiara derivazione araba, il riferimento alla suddivisione amministrativa nelle tre valli, la cucina e l’agricoltura con le tante coltivazioni importate già allora: dei monumenti assolutamente il nulla, malgrado nelle opere di autori dell’epoca si narrasse, ad esempio, di una Palermo, ricca di varie costruzioni e con un numero di abitanti di gran lunga superiore alla stessa Roma che ne vantava appena 30.000 circa.
Mentre da parte degli arabi, la Sicilia venne considerata come terra di colonizzazione, al contrario, da parte dei normanni essa fu trattata da puri e semplici dominatori e che cercarono anche di espandersi sulle sponde dell’Africa settentrionale: “L’isola presenta una gran varietà di sedimenti materiali, (n.d.r.: greci, romani, bizantini, ecc.) da secoli riconosciuti come altamente rappresentativi del mondo mediterraneo. Il periodo propriamente arabo rimane privo di ogni testimonianza”, scrive l’autore.
Molto documentata l’opera svolta dai vari Papi già con Giovanni VIII, a partire dal IX secolo, e la “Legazia Apostolica” del Papa Urbano II che conferiva ai re normanni “autorità sui vescovi e sulla Chiesa di Sicilia”.
Ed ancora “Nel corso del XII secolo, di tale lavoro di annichilimento venne fatta una parte significativa. Il resto, quando il Regnum era passato agli Hobenstaufen di Svevia, venne completato con puntiglio da Federico II”, continua Carlo Ruta che dello “Stupor mundi” ricorda come “alle rivolte scoppiate nel 1225, nel 1243 e nel 1246 rispose con stermini di massa, confische, la distruzione di abitati, la deportazione a Lucera, nei pressi di Foggia, dove le comunità superstiti subirono altri attacchi, a quel punto definitivi. Dopodichè, sull’Islam siciliano calò definitivamente il buio”.
A completamento del lavoro, oltre alle note, un ricco riferimento alle fonti scritte che vanno dal IX al XIV secolo, dal XV al XVIII secolo, come anche quella contemporanea dell’inglese Jeremy Johns “Arabic administration in norman Sicily. The royal Diwan” (Cambrige 2002), e di Federico Cresti “Città, territorio, popolazione nella Sicilia musulmana” (Palermo 2007), oltre a diverse testimonianze su materiali, soprattutto monete auree e d’argento coniate nelle varie zecche operanti a Castrogiovanni (oggi Enna), Cassibile e Siracusa.

Domenico Pirracchio

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