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Le origini bizantine e non arabe di Mascali. Il significato del toponimo

Le origini bizantine e non arabe di Mascali. Il significato del toponimo

Lo scorso 4 giugno, il “Gazzettinonline” pubblicava un mio articolo dal titolo “A proposito delle mitiche sette torri arabe di Mascali”, il quale, da quel che mi risulta, ha avuto molta diffusione e condivisione sui social e, particolarmente, fra gli interessati di storia e cultura locali.

In detto articolo, riportavo, fra il tanto, un passo del libello “Mascali”, scritto nel 1901 da Salvatore Raccuglia e da Antonio Calì e che così recitava: “La città (Mascali; n.d.a.) – essa (la tradizione; n.d.a.) narra – sorse all’epoca dei saraceni, i quali la munirono di sette torri e l’abitarono…”. Nell’articolo, pur avvalorando la presumibilità notevole che le sette mascalesi torri fossero arabe (in merito alle quali, fra il tanto altro: l’abate Vito Amico, nel 1760, “Vedevansi sette torri verso il suo circuito, delle quali perdurano due sole e conosconsi le altre dalle vestigia”; Giuseppe Recupero, a metà del Settecento, “Tutta la Città di Mascali oggi ridotta molto povera di forze, e di popolazione per il malgoverno dei Ministri, esistendo ancora gli scheletri delle sue antiche torri”) e che la loro collocazione fosse soprattutto nella cinta muraria del borgo (o, al più, qualcuna, all’intero dell’abitato), non ho posto in rilievo, perché lo ritenevo scontato, che sono del tutto errate le origini arabe di Mascali in quel passo attribuite.

Proprio io, un quarantennio addietro, posi, in un dibattito serrato, intercorso soprattutto sull’allora “Gazzettino” cartaceo, fra me e altri storici, di nuovo all’attenzione dei lettori quanto fosse superata questa convinzione che fossero stati gli Arabi a far nascere Mascali. Scrissi, nell’aprile del 1984, sul periodico del Comune, “Mascali Notizie”, un articolo titolato “A proposito delle origini di Mascali”, sostenendo che esse andavano ricercate (almeno la nascita del toponimo) proprio nel ben più precedente sesto secolo bizantino. Ebbi a ribadire questa tesi, quindi, sul “Gazzettino”, con un articolo del 28 novembre del 1985 dal titolo “Mascali bizantina” e con un altro articolo del 30 gennaio 1986 dal titolo “Maschàlis”, il quale primo dei due innescò una “polveriera” che alimentò la creazione di due schieramenti, uno “filo-bizantino” e uno “filo-arabo” e che coinvolse molte persone animatamente (ricordo un Sindaco di Giarre, molto divertito da quel mio giovanile ardore storico e parteggiare per me contro la burbanzosa canizie di alcuni pur non di tutti i canuti). Un primo accenno questo “dibattere” di quel tempo ha lasciato traccia (pur con indiretta affermazione) nel testo “Riposto” del prof. Santi Correnti (settembre 1985) e traccia più chiara nel noto e pregevole libro del prof. Avv. M. Sidro Barbagallo, “Da Giarre a Taormina, la storia attraverso i toponimi”.

Tralascio, per preterizione, il conseguente dibattito sul significato del toponimo Mascali, che io ribadisco avere origine proprio dal greco in uso anche, e soprattutto, fra coloro che noi chiamiamo bizantini e che dovrebbe avere a che fare con la “gemmatura nel punto ascellare del ramo”, per cui dovrebbe significare una zona ricca di alberi gemmati (e, quindi, fruttiferi) all’interno del vasto e fitto allora bosco etneo (quindi, l’indicazione “ramoso”, “boscoso” del significato va intesa come accezione più vasta rispetto a quanto detto e di certo più impropria); “Maschàle” era termine tecnico utilizzato dai botanici e così utilizzato da molti autori greci sia di età più classica, sia di età romano-bizantina, ad esempio da Teofrasto (IV-III sec. a.C.), da Dioscoride (I sec. d.C), da Esichio di Alessandria (V sec. d.C); e non è improbabile che fosse termine utilizzato nel parlato delle persone di cultura, con un’adeguata sedimentazione anche nel parlato popolare (visto il lungo periodo in cui il termine è stato utilizzato a livello colto). E “Maschàle” era termine utilizzato col significato, propriamente, di “attaccatura della gemma”, dunque di “ascella fogliare”. Quindi, Mascali era un luogo boschivo ferace all’interno di un bosco più selvatico e inospitale, dove fra le querce e i castagni e gli altri alberi da fusto si muovevano animali anche oggi scomparsi come i francolini, non mancando della loro presenza i lupi. D’altronde, i Bizantini amavano attribuire a diversi luoghi del nostro territorio dei nomi legati alle loro caratteristiche fisiche (ad esempio: “alle falde di un’altura”, per Paternò; “sulla cresta di un’altura”, per Camastra; “Mitogio” col significato di “umido”). Questo significato da me attribuito al toponimo Mascali fa positivamente il paio con quello dato da Santi Correnti, di “ramo fiorito”, in quel 1985, nel suo libro “Riposto”.

Le altre soluzioni date al significato del toponimo “Mascali” sono state le seguenti: secondo Filoteo degli Omodei (metà XVI secolo circa), “villa o casale chiamato Mascali, quasi Mascar, nome moresco, quale alcuni…dal 1348 lo chiamarono Mascaro, quasi ‘più caro’ (che mi pare molto convenevole al nome)”; secondo Gustav Parthey (1834) e, poi, secondo Antonio Calì e Salvatore Raccuglia (1901) e, poi ancora, secondo Vincenzo Di Maggio (1975), sarebbe la corruzione del toponimo greco “Makella” (località ipoteticamente immaginata nel nostro territorio, detta, in latino, “Macella”); secondo Corrado Avolio (1975), il significato sarebbe “campo”, dall’arabo masker”; secondo Isidoro M. Sidro Barbagallo (1995), derivante sempre dal greco “Maschàlis”, ma con il significato di “ascella” (golfo”, “baia”, poiché Mascali era un abitato collocato a monte di un piccolo golfo): lo stesso significato era stato dato da Girolamo Caracausi (1993); sempre lo stesso significato di “ascella” è stato attribuito, poi, da Salvatore C. Trovato e poi, con un’ampia riflessione, da Francesco Privitera (2020); secondo Giuseppe Musumeci (2020), significherebbe “grande e bella”, per cui “Mascali” sarebbe toponimo “di, indubbia, origine greca nella sua forma composta, come per Callipoli” (al cui nome farebbe riferimento), dall’unione dell’avverbio “masa”, derivante da “megalos”, con l’aggettivo “kalòs”, combinando, quindi, propriamente, la forma composta “masakalòs”. Si evince, dunque, una particolare preferenza, da parte degli altri studiosi, per la soluzione più generica di “ascella” che dovrebbe comportare, secondo me, un riferimento o ad un apprezzabile golfo dalla forma ascellare sul tratto di mare di fronte ad una Mascali comunque mai collocata sulla marina ma sempre, prima del 1928, in collina (peculiarità che, almeno a me, non sembra così caratterizzante) o ad una “forma ascellare” del terreno su cui sarebbe sorta Mascali. In relazione a Raccuglia e a Calì, questi si convertirono alla soluzione della corruzione del nome greco “Makella” dopo aver messo in dubbio e, quindi, sconfessato di fatto quelle origini arabe di Mascali, sempre in quel da noi citato loro libello (ebbero, fra l’altro a scrivere, operando verso quella nuova soluzione, “Mascali, il cui nome…pare a noi possa avere una genesi anteriore al tempo dei saraceni”).

Ritornando alle origini bizantine (almeno del toponimo) e non arabe di Mascali, evito di disquisire di Teofane Cerameo o di varie caratteristiche istituzionali e culturali e ambientali in quell’alto Medioevo, in relazione al nostro borgo (possono essere rintracciate, insieme a più puntuali riferimenti al dibattito sul significato del toponimo, alle origini bizantine e al “Monastero di Sant’Andrea sopra Mascali” e a tanto altro nel mio libro “Mascali e il suo territorio – La Storia – Dai Bizantini a Carlo III di Borbone (535-1759)”, di 554 pagine, edito nell’aprile del 2023 e rintracciabile su Amazon o nelle biblioteche del nostro territorio), ma riporto, come feci anche un quarantennio addietro, il testo famoso di un’epistola di Papa Gregorio I Magno (immagine in alto) indirizzata, nel 593 (quindi, ben prima addirittura dell’Egira di Maometto, ben ventinove anni prima, e ovviamente dell’espansione araba e non solo per la Sicilia) al Vescovo di Taormina, Secondino, in merito proprio al Monastero di “Sant’Andrea sopra Mascali”, che si trovava nel “Nemus Sanctae Silviae”, cioè nel “Bosco di Santa Silvia”, dove Santa Silvia era la madre di Papa Gregorio Magno e quasi sicuramente colei che, per identificarli col proprio nome, dovrebbe avere avuto, a detta anche di altri storici, il possesso del detto bosco e di tratti di territorio (è la prima volta, dunque, che compare il nostro toponimo, proprio in piena età bizantina). Questa lettera, inoppugnabilmente fededegna, smentisce gli ostinati, e ce ne sono ancora, sostenitori delle origini arabe di Mascali.

Testo dell’epistola: “Gregorius Secundino Episcopo Taurometano. Pridem praecepimus ut de monasterio S. Andreae, quod est super Maschalas, baptisterium, propter monacorum insolentiam, debuisset auferri, atque in eodem loco quo fontes sunt altare fundari. Cuius rei perfectio hactenus est protracta. Admonemus igitur fraternitatem tuam ut nullam jam moram, post susceptas praesentes litteras nostras, inserere debeas, sed repleto loco ipsorm fontium, altare ad celebranda sacrosancta misteria, illic sine aliqua dilatione fundetur; quatenus et praedictis monachis securius liceat celebrare, et non de negligentia vestra fraternitatem tuam noster animus excitetur”.

I contenuti, molto risoluti, dell’epistola costituiscono un’ordinanza a carattere disciplinare; contro le disposizioni canoniche, dunque, i monaci del “monasterium Sancti Andreae quod est super Maschalas” avevano installato, nella chiesa del monastero, una fonte battesimale; questa irregolarità era stata lamentata da qualcuno che ne aveva ravvisato un torto ai propri diritti (probabilmente, da chi deteneva la cura delle anime nella vicina Mascali) e questi ebbe a segnalare l’abuso al Vescovo di Roma affinché richiamasse quei monaci. Al ché, papa Gregorio I ebbe a scrivere al vescovo della diocesi nella quale il monastero ricadeva, quella di Taormina (estinta dopo la dominazione araba); con Secondino, attestato vescovo di questa diocesi dal 591 al 603 (prelato di notevole cultura, tanto che, in altra epistola dello stesso 593, non solo il pontefice lo definì “sacris semper lectionibus intentus”, ma gli affidò pure la correzione di alcune sue omelie sui Vangeli), il papa era aduso tenere non infrequente corrispondenza; in questa occasione, rimproverando, di fatto, quell’errata scelta dei monaci (che si era già protratta da troppo tempo), che con un termine forte e deciso definiva “insolentia”, obbligava il vescovo ad intervenire per fare abbattere la fonte battesimale e far erigere (subito, senza alcuna dilazione temporale), in suo luogo, un altare per la celebrazione dei misteri divini, in particolar modo dell’Eucaristia.

Ovviamente, il sorgere del toponimo in quel VI secolo non implica che non vi fosse lì un borgo antecedente nomato in maniera diversa (i continui scavi, sovente casuali, per il nostro territorio anche nei decenni passati e soprattutto di recente voluti nei pressi della Nunziatella ci attestano una notevole antropizzazione di questo tratto di versante etneo almeno in età greca romana e bizantina), ma questa è altra questione che meriterà, se ne avremo l’occasione, un suo particolare approfondimento.

Antonino Alibrandi

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