Randazzo, caso Don Vincenzo Calà: condanna ritenuta "ingiusta e frutto di un errore giudiziario" -
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Randazzo, caso Don Vincenzo Calà: condanna ritenuta “ingiusta e frutto di un errore giudiziario”

Randazzo, caso Don Vincenzo Calà: condanna ritenuta “ingiusta e frutto di un errore giudiziario”

Secondo la difesa, i magistrati hanno condannato l’imputato senza vagliare le indagini difensive. Questo modus operandi, irrituale in un processo penale, è stato scoperto dalla difesa, per caso, durante il processo d’Appello. Sarà la Suprema Corte a scrivere la parola fine a questa triste e intrigata vicenda giudiziaria che vede protagonista Don Vincenzo Calà, ex arciprete della basilica di Santa Maria, e il suo accusatore. Per il legale del sacerdote il suo assistito è innocente e sarà assolto nel successivo, definitivo, grado di giudizio. Il dispositivo della sentenza d’Appello arrivata la notte di mercoledì, dopo circa dodici ore di camera di consiglio, stabilisce che le condotte denunciate dalla parte offesa debbano essere qualificate come molestie lievi e non come violenza sessuale. Pertanto, la pena è stata ridotta rispetto a quanto già deciso dal giudice dell’udienza preliminare. La città, ancora una volta, si stringe attorno al sacerdote e alla sua famiglia che si ritengono vittime di una crudele infamia. In merito alla vicenda giudiziaria che vede imputato l’ex arciprete di Randazzo, abbiamo sentito il punto di vista della difesa in un’intervista esclusiva all’avvocato del pool difensivo Agron Xhanaj di Vicenza.

“Si tratta di una sentenza inaspettata e certamente ingiusta – esordisce senza mezzi termini il legale di Don Vincenzo Calà, che aggiunge – nelle questioni sugli abusi a minori c’è, spesse volte, un pregiudizio; tant’è che l’Osservatorio Nazionale sugli abusi ha riscontrato che delle 5mila denunce annuali per abusi sessuali su minori, meno di mille passano il vaglio dei primi controlli formali”.

“È successo anche questo – ci dice il legale -. Nel corso del giudizio di secondo grado, dinanzi alla Corte d’Appello di Catania, casualmente, è emerso che il Giudice di prime cure ha letteralmente omesso di visionare le prove fornite dalla difesa e, conseguentemente, non ha potuto utilizzarle ai fini della decisione. È successo, dunque, che l’indagato presentasse una memoria difensiva allegandovi supporti digitali contenenti testi di SMS intercorsi fra lo stesso e la madre della vittima con cui quest’ultima si scusava per il comportamento del figlio ai danni del mio assistito, manifestandogli, addirittura, tutta la sua vicinanza e affetto. Inoltre, sono stati depositati file video ritraenti il padre dell’accusatore che in epoca successiva ai presunti abusi elogia pubblicamente Don Vincenzo. E nonostante questi – a dire del figlio – fosse a conoscenza delle lamentele del minore accusatore. Né il pubblico ministero né, tantomeno, la polizia giudiziaria incaricata alle indagini aprono la busta allegata alla denuncia sporta dal sacerdote contenente elementi probatori a sua discolpa”.

“Il 9 gennaio 2018, ormai in fase di appello – rivela l’avvocato –, la busta contenente le prove fornite a discolpa dall’imputato non è stata aperta neppure dal giudice competente; di conseguenza questi non ha valutato gli elementi difensivi rispetto alle infamanti e gravissime accuse mossegli dalla presunta vittima”.

“Ma ritorniamo indietro con il tempo – continua il legale –. Il primo luglio 2014 il giudice dell’udienza preliminare  ha emesso una sentenza di condanna nei confronti dell’imputato per il reato addebitatogli. Così come la polizia giudiziaria e il pubblico ministero, anche il giudice dell’udienza preliminare, in sede di decisione, non apre la famigerata busta contenente elementi probatori a difesa di Don Vincenzo. Tant’è che il primo giudice ha omesso di valutare gli elementi a favore dell’imputato il quale ha avuto contezza di ciò soltanto il 9 gennaio 2018, dopo un’attenta lettura del carteggio depositato presso la cancelleria della Corte d’Appello di Catania”.

Ma cosa succede con la sentenza di primo grado se si accerta che il giudice non ha consultato gli atti? E ancora, a chi piacerebbe farsi giudicare se l’ufficiale giudicante valuta prevalentemente gli elementi della pubblica accusa tralasciando quelli della difesa?

“Innanzitutto – spiega l’avvocato del sacerdote – si tratta di un comportamento che costituisce colpa grave a carico dei magistrati (Pm e Gup). È sconcertante che si condanni un uomo in questo modo e probabilmente per il pregiudizio di essere nella condizione di prete denunciato.

Il Giudice di Appello, dopo dodici ore di camera di consiglio, con dispositivo letto poco prima delle due del mattino del 12 luglio, ha solo stabilito che le condotte denunciate dalla presunta vittima debbano essere qualificate come molestie lievi e non come violenza sessuale”.

“In realtà non era questo il risultato sperato – afferma, deluso, il difensore di Don Vincenzo che aggiunge rincarando la dose – il mio assistito è innocente e andava assolto. La persona offesa ha un interesse economico nel processo perché ha chiesto e ottenuto un risarcimento economico. Proprio per questo, come stabilisce la Cassazione, la valutazione della versione fornita dalla persona offesa doveva essere vagliata minuziosamente e con maggiore attenzione. In questo processo, oltre ad essere state violate le regole per l’acquisizione della testimonianza del denunciante, non sono state prese in mano nemmeno gli atti a difesa dell’imputato. È sconcertante, ma è vero – esclama l’avv. Agron Xhanaj, che annuncia – attenderemo le motivazioni della Corte e conseguentemente si proporrà ricorso in Cassazione affinché possa esprimere un giudizio su questo processo così abnorme. Dalla suprema Corte ci aspettiamo un giudizio che sia scevro da condizionamenti ideologici in questo periodo di anticlericalismo dilagante”.

“Ma ritorniamo al processo e ai fatti. La madre della persona offesa ha chiesto scusa a Don Vincenzo Calà per il male che il figlio gli aveva procurato. Il padre, invece, ha elogiato Don Vincenzo anche dopo il periodo delle presunte molestie, e, quindi, in un momento in cui egli doveva sapere dell’esistenza delle stesse. Sono state depositate foto che ritraggono la presunta persona offesa che abbraccia Don Vincenzo durante il festeggiamento del suo diciottesimo compleanno, ovvero in periodo successivo ai presunti toccamenti – continua come un fiume in piena l’avvocato – non sappiamo ancora quali saranno le motivazioni della condanna (che dovranno essere depositate entro 90 giorni, ndr), ma una cosa è certa: Vincenzo Calà, uomo e sacerdote, è innocente e sarà assolto. Mi rifiuto di pensare che la Giustizia, alla quale rendo un servizio come professionista, sia questa”.

Se così fosse, sarebbe una giustizia con la g minuscola, ovvero una giustizia ingiusta. Se un medico sbaglia un intervento perché non ha letto tutta la cartella clinica prima di decidere sull’intervento da eseguirsi sul paziente, egli risponde di lesioni colpose e di responsabilità medica. Nel caso in questione, sebbene in altri ambiti disciplinari, è avvenuto proprio questo. “Il primo giudice ha deciso come intervenire sul mio assistito senza vagliare l’intero contenuto del fascicolo, ovvero la parte più importante di esso, le prove a discolpa dell’imputato. E il Giudice risponderà di qualcosa? – si chiede, smarrito, l’avvocato – mentre il paziente va in Procura e denuncia il lavoro del medico, Don Vincezo Calà a chi deve lamentare il torto fattogli se proprio la Procura ha sbagliato omettendo di aprire la busta? A quale autorità il mio assistito dovrebbe affidare le sorti della sua dignità se non al Giudice, quel giudice che ha tradito le sue aspettative da cittadino onesto, vittima di un errore giudiziario o di un pregiudizio anticlericale?”.

“Che Vincenzo Calà, uomo e sacerdote, sia innocente lo sa un intero paese – afferma senza esitazione il difensore – invito le persone, chiunque dubiti sull’onestà di Don Vincenzo, a recarsi a Randazzo e chiedere di lui a uomini e donne di ogni età ed estrazione sociale per trovare un punto debole di questo giovane prete, la cui colpa era solo quella di essere amato da tutti, piccoli e grandi.

Mi fa piacere di non sentirmi solo nel credere fermamente nell’innocenza del mio assistito che ho avuto il piacere di conoscere in questi anni assieme a tutta la sua famiglia – conclude l’avvocato Agron Xhanaj, che ci lascia con un auspicio – mi auguro che Don Vincenzo resista al male che l’uomo ha causato nella sua vita e trovi la forza nella fede alla quale ha dedicato l’intera esistenza. In quella fede non troverà mai la malvagità che invece spesso cova in persone che si nutrono di male”.

Gaetano Scarpignato

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