In due distinti appuntamenti, il prof. Antonino Alibrandi ha tenuto due conferenze, la prima in Sant’Antonino di Mascali (nell’ambito dei festeggiamenti in onore del Patrono Sant’Antonio di Padova; nella Chiesa di questa operosa frazione, presente il parroco don Deva Narra, che ha portato i saluti della Comunità) dal titolo “Sant’Antonino fra XVII e XVIII secolo”; la seconda a Mascali (nel “Museo dei Luoghi e delle Attività Marinare, di Viale Immacolata, presenti il Sindaco dott. Luigi Messina e la vice-Sindaco dott.ssa Veronica Musumeci) su “Metà del XVII secolo: l’operato in Mascali del bandito Francesco Ferro e del Venerabile Luigi La Nuza”.
Nella conferenza di Sant’Antonino l’excursus storico è stato notevole e difficile da sintetizzare senza tralasciare particolari importanti. In quest’articolo segnaliamo, fra quel tanto dire, il dato nel quale per la prima volta compare documentalmente questo allora quartiere di Mascali, e cioè nel “rivelo” (il censimento) del 1616 (“Mascali, q.re Sant’Antonino, tenimento di case in 4 corpi con un giardinetto di gelsi, 50 sacchi di fronda, conf. Con la casa degli eredi di Prospero Puglisi e vie pubbliche: onze 72.33.3”); il prof. Alibrandi ha datato il possibile sorgere della chiesa di questo quartiere nell’ultimo quarto di secolo circa del XVI secolo. Quindi, il relatore ha citato un “censo bullale” del 24 giugno 1640 (“…sopra la casa di Francesco Gaglioto nel quartiero di S. Antonino, confinante al presente con cortile dell’eredi del quondam Francesco Raineri e giardino e case di Francesco Puglisi alias fiscia. Queste case e giadino di detto di fiscia le possiede maritali nomine, e via publica, al presente possessa la sopradetta casa dall’eredi del quondam Gionbattista Oliveri alias masitto…”) e un “censo bullale” del 24 luglio 1644, importante anche perché il quartiere vi viene denominato “del Melicucco” (la pianta del bagolaro) così come lo è stato, popolarmente, anche fino alla metà circa del secolo scorso (“…sopra le due case di Salvatore Buttà in questa città e quartiero del Melicucco o di S. Antonino confinante una casa con case di Michelangelo D’Aquila e case dell’eredi del quondam Michele Sapuppo…”).
Lunga, quindi, è stata l’analisi di due figure settecentesche che molto ebbero a che fare con questo quartiere e con la sua chiesa: la mistica e Serva di Dio Margarita Elisabeth Scandura, detta anche Margarita Bassi (il cognome del marito) e Scandura (Mascali, 20 febbraio 1715 – 16 ottobre 1785) e il canonico Leonardo Rosario Bartolotta (Mascali, 10 settembre 1729 – 31 maggio 1815) che fu il consigliere spirituale della suddetta Serva di Dio. Su entrambi, qui riportiamo, il loro famoso pellegrinaggio (che donna Margarita, semianalfabeta, ebbe a riportare nel secondo dei quattro volumi che ella dettò al can. Bartolotta e titolati “Vita Spirituale o sia Vita e contemplazioni della Serva di Dio D.nna Margarita Bassi e Scandura”, conservati nell’Archivio Parrocchiale di Mascale e dei quali il primo volume è andato perduto), realizzato alla fine del mese di luglio del 1763, al Santuario Mariano di Valverde, traendo le parole proprio dalle pagg. 375-376 del volume del prof. Antonino Alibrandi “Mascali e il suo territorio-La Storia-dai Bizantini a Carlo III di Borbone (535-1759)”, edito due anni fa: “…Alcuni giorni prima della festa di Santa Venera, Donna Margarita Bassi e Scandura sentì il bisogno di recarsi a Valverde e chiese al Signore di manifestargli se questa era anche la sua volontà; ed il Signore così le rispose: “Non credere essere solo tua volontà tale risoluzione; io ti ho posto questa inclinazione; va, sì, a venerare quella sagra Effigie della dolcissima Madre, ed essendo ivi, avrai da Essa uno sguardo, come quello che diedi io ad Ella stando ai piedi della Croce…; voglio però che da qui partissi come una penitente e con una grande devozione; e giunta che sarai a quel Santuario, farai, come li Re Magi, tre genuflessioni e non potendoli fare corporalmente, le farai con la volontà e col desiderio… La prima genuflessione la farai al limitare della porta della chiesa; la seconda prima di accostarti a quella Sagra Immagine e la terza innanzi a quel sagro altare. Ivi ti comunicherai figurandoti di ricevere la Comunione non dalle mani del sacerdote, ma dalla stessa carissima mia Madre; ed unendoti con tutti li Beati del Cielo e dei miei servi in terra, offrirai con essi la Comunione al mio Eterno Padre, pregandolo per i meriti della mia SS.ma Madre di cui se ne ritrova in questa terra il suo ritratto, lasciandovi già impressa la sua immagine per amore dei fedeli…”.
Al seguito di Donna Margarita Bassi e Scandura partirono (dalla casa, nel quartiere di “Sant’Antonino”), il 25 luglio, il marito, il figlio, due nipoti, il can. Bartolotta ed altre persone. Raggiunta Acireale, donna Margarita, il 26 dello stesso mese, fu portata nella chiesa di San Sebastiano, per contemplare il Crocifisso (posto nell’oratorio). A Valverde giunsero nella mattina del mercoledì 27; scesero dalle loro cavalcature, percorsero un tratto di strada a piedi e giunsero alla porta del Santuario. Nell’entrare, Donna Margarita ed il can. Bartolotta fecero la prima genuflessione recitando le seguenti parole: “Ave, Filia Dei Patris! Ave, Mater Dei Filij! Ave, Sponsa Spiritus Sancti!”. Queste parole a tutt’oggi, da allora, sono ripetute, in particolari momenti celebrativi, dagli Agostiniani Scalzi di Valverde.
Donna Margarita ed il suo confessore ripeterono la genuflessione davanti all’altare dov’è posta la sacra immagine della Vergine; indi, per la terza volta, la ripeterono davanti all’altare centrale. Con uno sguardo la Vergine comunicò, alla “serva di Dio”, “un’aura felicissima di beatitudine”. Il can. Bartolotta celebrò la Santa Messa e Donna Margarita si intrattenne in interiore colloquio con Gesù Eucaristia. Molte cose furono quel giorno comunicate a Donna Margarita. Le fu manifestato che “a lasciare ivi impressa quella figura o ritratto della SS. Vergine vi concorse prima il permesso dell’Eterno Padre”; che “spesso quella sagra figura riceve sguardi da Maria SS., comunicandovi forza e virtù per illuminare le anime che la visitano e a lei ricorrono. Quella SS. Immagine, miracolosamente comparsa e dipinta, comunica forza e virtù a tutti quelli che la vanno a visitare con vera devozione e non per curiosità”; che “separatamente dagli altri Angeli e serafini, i quali stanno in custodia di detta SS. Immagine, ivi vi sta assegnato un Angelo, il quale nota nel numero dei devoti di Maria SS. quelli che devotamente vanno a riverirla”; e tanto d’altro ancora le fu reso manifesto. Donna Margarita si unì, la sera, alle litanie che elevavano alla Madonna i Religiosi del Santuario e, prima di partire, pregò per il marito, per il figlio, per la città di Mascali e per tutti i mascalesi, per tutti coloro che si erano recati con lei nel Santuario, e particolarmente per il can. Bartolotta…”.
Nella seconda conferenza, a Mascali, il prof. Alibrandi, partendo dalle riflessioni storiche operate dal prof. Giuseppe Giarrizzo sul banditismo in Sicilia fra la fine del XVI secolo e la piena metà del XVII, ha innanzitutto descritto alcuni avvenimenti, in merito, della fine del ‘500: nel 1576, quando l’acese Ugo di Paternò liberò le campagne di Mascai e i suoi “oppidani” (che, per questo, vivevano in smisurata paura), dai predoni che la devastavano; nel 1591, quando Mascali ebbe a subire il terrore dei banditi , più di duecento (di fatti, a quel tempo, trattavasi di veri e propri “eserciti di banditi”, che, numerosi, devastavano e depredavano anche ogni nostra contrada), di Giorgio Lanza, il cui uomo di fiducia in Mascali era un tale Paolo Garfina; nel 1592, quando i centottanta e più banditi di Giambattista Lo Xiglio (alleato del Lanza e dell’altro temibile capo-banda Paolo Aucheri) infestarono la Piana di Mascali. Quindi, la figura di Francesco Ferro (di Aci Platani), il quale condannato al carcere perpetuo nel Castello di Aci, fuggì da questo, insieme a diciannove altri carcerati, il 12 giugno 1657, dopo aver ucciso due ufficiali e ferito gravemente il castellano. Quindi, con fama di “ladro honorato” (così detto, perché depredava i più ricchi e distribuiva in parte il suo maltolto ai più poveri), devastò le campagne di Aci e quelle di Mascali, uccidendo (il 15 settembre 1658), fra l’altro, in quel di Santa Maria Ammalati, il sacerdote Giambattista Grasso (che era stato il giudice che lo aveva condannato alcuni decenni prima) e uccidendo (3 giugno 1659) il suo braccio destro, accusato di macchinare tradimento, Giuseppe Fava Briglia. Quindi, la cattura e la morte del bandito Francesco Ferro, in Mascali, il 3 settembre 1659, secondo la coeva “Cronaca” di Pasquale Calcerano: “A 3 di 7.bre 1659. Il povero Fran.co Ferro fu tradito da suo Cogn.to et a Mascali, manciando nella vigna del Sac. D. Paulo Grasso con suoi compagni, fu assaltato da 3 Cap.ni dello Bosco e feciro la festa di d.o Ferro e di 4 suoi Compagni, le quali teste foro portate a Palermo”.
Del Venerabile (dichiarato tale dal Beato Papa Pio IX, nel 1847) il padre gesuita Luigi (o Luigio) La Nuza (Licata, 1591 – Palermo, 21 ottobre 1656 – foto a sinistra), il prof. Alibrandi, oltre a raccontare la vita e ad inquadrare la figura nell’ambito della cultura post-tridentina, ha posto in risalto le grandi capacità oratorie di questo religioso, che avevano più efficace culmine nelle prediche pubbliche della Settimana Santa, con grande pianto di popolo durante la sua narrazione delle Sofferenze e della Crocifissione di Gesù Cristo, riportando, particolarmente le prediche che il Ven. La Nuza fece in Acireale e in Mascali nella Settimana Santa dell’ultimo anno di sua vita, dove ebbe a far realizzare, anche, molti altarini della “Via Crucis” lungo i quali organizzò coinvolgenti processioni.
Del Venerabile Luigi La Nuza, riportiamo in quest’articolo i suoi miracoli operati in Mascali, tratti dal sopracitato testo dell’Alibrandi (pagg. 297-298) e a loro volta tratti da un testo su “Vita e Virtù del Venerabile…”, del 1677, di Michele Frazzetta, e dal testo, del 1756, redatto proprio per la canonizzazione di padre La Nuza: “…Il miracoloso guaritore olio del Santissimo Sacramento. Con l’olio delle lampade che ardevano davanti al Divino Sacramento, padre La Nuza guariva ogni infermità e arrivato a Mascali dopo l’ultimo quaresimale svolto in Acireale, diede poche gocce di quell’olio ad Antonia di Bella, “la quale perché le si erano seccate le poppe, si vedeva d’ora in ora mancare una sua creatura di sei mesi, ma esortata dal Padre ad applicarvi sopra, per nove giorni, un poco dell’olio della lampada del Divin Sacramento, all’ultimo de’ giorni prescritti, le venne tanta copia di latte nel petto, che la forzò à cercar altri bambini, per sgravarsi le poppe e quel che è più, dopo la morte del Servo di Dio, testificò la suocera d’ Antonia, che in quella Terra, quante altre si trovavano in mancanza di latte, tutte ricorrevano à questo rimedio, dato dal Padre Luigi, invocando il suo nome, subito ne provavano il beneficio. Ivi pure Anna Barbagallo, à cui per una caduta, s’era rotto il braccio sinistro, e se ne trovava, non solo inhabile e ad ogni moto, ò fatica, ma in estremo addolorata osò ogn’industria per parlare co ‘l Servo di Dio, e havere al suo male rimedio, ma trovatolo ritroso, pregò un Sacerdote suo cugino, detto don Paolo Grasso (lo stesso don Paolo Grasso, nel cui vigneto, in Mascali fu ucciso il bandito Francesco Ferro; n.d.a.), che facesse appresso il Padre l’avvocato per la sua infermità, fecelo il Sacerdote con buon garbo, e ‘l Padre Luigi si contentò benedire la donna di lontano, e per lo medesimo Sacerdote l’impose, che con l’olio della lampada del Santissimo Sacramento, ungesse il braccio rotto, e pagasse solamente il tributo d’un Pater, e Ave; ubbidì la buona Anna, e subito si sentì alegerita del dolore, ma la seguente mattina, levate le fasce per replicar l’untione, ritrovò il braccio affatto risaldato con estrema meraviglia di tutti: non così il marito di lei, che al ritorno che fece dalla campagna, vedendo il successo; che meraviglia, disse, se egli è santo? Miracolo sarebbe, se non facesse miracoli. Alla fama di prodigij del Padre Luigi, Marina di Bella, corse dalla Terra di Mascari, sino alla città di Jaci per desiderio d’essere liberata da un acerbissimo strazio di viscere, che spesso la riduceva à termine di morire e l’obbligava à chiedere gli estremi sagramenti: or costei sotto pretesto di devozione dimandò e ottenne dal Padre una piccola corona di legno, e la corona non solo rimediò per sempre al suo male, ma, à somiglianza di quella del Saverio, compartita da lei à diverse persone, in ogni granello si faceva conoscere benefica a tutti gli infermi e superiore a qualunque forza di male. Un terrazzano di Mascari havea lungo tempo, appresso il criminale, ingiustamente calunniato il figliuolo d’un onorato cittadino di Jaci, con fargli far grosse spese onde l’offeso stava tutto col pensiero rivolto alla vendetta: ravvedutosi il mascalese del fallo, lo confessò quasi in pubblico al Padre Luigi, pregandolo di interporsi per il perdono”; e, l’offeso, chiamato due volte da padre La Nuza non si presentò; “alla terza chiamata, carica di minacce molto severe da parte di Dio” l’offeso si presentò dal Padre, che gli disse “Conoscete quello crocifisso, che tante volte fin ora v’hà perdonato? Sì Padre, rispose l’offeso: dunque perdonate il vostro nemico; e guai per voi se nol fate di cuore. Di cuore, ripigliò l’altro impaurito, e tremante; ma l’interesse di più di duecento cinquanta feudi, quanto mi costa questa persecuzione, chi me ‘l rifarà? Eh che per Dio, conchiuse il Padre, non si guarda interesse. Dio farà il vostro rimuneratore, ed abbacciorlo. A quello dire quegli si rendette, e tanto di buon cuore, rimise al suo nemico l’offese, che in congiuntura di potersene à mansalva vendicare, non solo no ‘l fece, ma con animo generoso, e petto cristiano di vantaggio lo favorì. Si come pure in Mascali, una donna chiamata Agata Christaldo a cui il mettersi il parto era un mettersi à morire, onde per impetrarle aiuto, e conforto dal Cielo, procurava in tal bisogno il marito, che si esponesse il divin Sacramento in qualche divoto altare: morto che fù il Padre Luigi e impetrato un pezzetto delle sue vesti, con questo solo si stimò sicura nei parti, né provò mai più quegli spasimi e dolori che la mettevano in pericolo della vita. Il 27 novembre 1664, i padri, che erano stati compagni di predica di padre La Nuza (fra cui, padre Antonio Roberto, a cui si rivolse direttamente la donna), ritornarono in Mascali e qui, grazie alle reliquie del Venerabile, guarirono Antonia, moglie di Matteo Zappalà, che era caduta dall’alto, procurandosi rotture gravi nel braccio destro e conseguenti terribili dolori per quindici giorni; la donna, la mattina del risveglio, il giorno del miracolo, ebbe a pregare con le parole “O Beato Padre La Nuza fatemi la grazia!”, e, miracolata, poté cucire e filare e per ringraziamento recitò cinque Pater e cinque Ave Maria al Padre La Nuza: “Antonia Zappalà, povera donna di Mascali, terra soggetta al dominio del Vescovo di Catania, cadde miseramente di luogo alto e dal colpo che diede in terra, si hebbe il braccio destro rotto, e sfracellato. I dolori che vi pativa erano continui, e intollerabili, e i rimedij che per quindici giorni vi si applicarono, ad altro più non servirono, che à raddoppiarle i tormenti. Intanto à sua gran ventura, sopraggiunsero colà a farsi gli esercitij soliti dell’Apostolico ministero i Padri, stati già compagni del Padre Luigi ed ella come mandò loro instantemente à richiedere, così n’hebbe una reliquia del Servo di Dio: presela con gran reverenza, e sfalciato il braccio, e gittati via tutti gli impiastri, la legò sopra dove l’ossa erano rotte, e con ciò si mise a riposare: dormì quietamente tutta la notte, e destatasi la mattina, e trovatasi senza dolore, al maneggiar che fece speditamente il braccio, gridò, Io sono sana, e così fu, poiché chiesti i suoi panni, e vestitasi da se, volle per prova subito tornare alle sue facende, e ‘l feci si franca, come se mai fosse stata offesa del braccio”.
Gabriele Garufi