Francavilla di Sicilia: successo per "Sugo finto”, rappresentata dalla compagnia teatrale “Chiddi da Vina" -
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Francavilla di Sicilia: successo per “Sugo finto”, rappresentata dalla compagnia teatrale “Chiddi da Vina”

Francavilla di Sicilia: successo per “Sugo finto”, rappresentata dalla compagnia teatrale “Chiddi da Vina”

Fa parte di quella vasta gamma di gusti e sapori che caratterizza il nostro patrimonio agroalimentare, rinomato a livello internazionale. Le sue varianti regionali offrono una ricca diversità visiva e gustativa, facilmente esplorabile tramite una ricerca online nella sezione immagini, che rivela una vera e propria tavolozza di colori.

Di cosa stiamo discutendo? Del sugo finto, ovvero una salsa preparata con vari aromi, tipicamente a base di soffritto di verdure e passata di pomodoro, ma priva di carne. Questo tipo di condimento, derivante dalla saggezza popolare, era spesso l’unica opzione disponibile. L’aroma complessivo che emanava rendeva il piatto appetibile quanto un ragù tradizionale.

“Sugo finto”, con sottotitolo “Le signorine”, è anche il titolo della commedia in due atti brillantemente rappresentata sabato scorso, 7 giugno, al Cine Teatro Arturo Ferrara di Francavilla di Sicilia dalla compagnia teatrale francavillese “Chiddi da Vina”, con la regia di Annamaria Puglisi e con il patrocinio del comune di Francavilla di Sicilia.

Si tratta di una divertente ma al contempo malinconica commedia di Gianni Clementi, autore che scrive per il teatro da oltre 40 anni, in cui gli elementi centrali non sono i profumi e i sapori della cucina, bensì i comportamenti e le caratteristiche individuali, le dinamiche familiari, le personalità e i temperamenti, aspetti che mettono in evidenza la complessità della natura umana, influenzata sia da fattori interni che esterni.

Nell’opera vengono rappresentate due realtà diverse e complesse, la storia di due sorelle nubili immerse nella routine quotidiana e caratterizzate da un rapporto conflittuale. La narrazione alterna momenti di tensione, elementi di comicità e riflessioni profonde. Nonostante la solitudine e la difficile condizione delle loro vite, tra le due si sviluppa un legame affettivo e simbiotico, un “matrimonio” basato sulla coabitazione e una difficile interazione umana.

Si apre il sipario, rivelando una scenografia volutamente austera: uno spazio parzialmente vuoto, con un arredamento essenziale e un soggiorno dall’aspetto antiquato, con un divanetto lacero e sprofondato, la macchina da cucire, un tavolo con solo due sedie; pochissimi gli elementi decorativi.

In questa atmosfera sobria e cupa si svolgono le attività domestiche di due donne, titolari di una vecchia merceria in crisi di sopravvivenza a causa della concorrenza cinese.

Sono entrambe zitelle, azzoppate nel fisico e dalle difficoltà di una vita piatta e priva di emozioni, una condizione di sofferenza nel corpo e nell’anima, un’esistenza noiosa, ripetitiva, proprio come il sugo finto che Rosaria, attenta risparmiatrice di risorse (“… pomodori a non più di 30 centesimi al chilo”) prepara per sé e sua sorella.

Le due donne incarnano due diverse prospettive sulla vita. Rosaria è preoccupata per il futuro ed è particolarmente attenta alla gestione delle disponibilità economiche, preferendo evitare spese superflue e condurre una vita frugale.

“Si tirchia e piddirina, nel bagno una lampadina di 25 watt tieni”, è l’accusa di Tinuccia che, al contrario, ha un approccio diverso e sarebbe incline a godere di alcuni piaceri della vita, ma è continuamente rimproverata dalla sorella più autoritaria: “Sei una fanatica …”.

Neanche la telefonata dell’anziana zia che annuncia il matrimonio del maturo cugino con la giovane badante moldava riesce a portare serenità tra le due donne.

In occasione delle nozze, Tinuccia preferirebbe indossare un raffinato “tailleurino beige” per assumere un aspetto più maturo e autorevole, “una signora”. Tuttavia, la sorella le ricorda prontamente che il loro status è ancora quello di donne non sposate: “Signorine, siamo!”.

Dopo la cerimonia nuziale, Rosaria ha un ictus. In seguito all’evento, subisce gravi menomazioni e riceve assistenza dalla sorella, la quale coglie l’occasione per rivalersi sui maltrattamenti subiti nel corso della sua vita.

La situazione si capovolge a favore di Tinuccia, che ora conduce la sua vita secondo le proprie volontà. Ogni giorno riferisce a Rosaria, immobile e inespressiva, delle sue azioni avventate, dell’erosione dei risparmi e della ricerca di relazioni amorose improbabili.

Non bada a spese, “tutto mi voglio mangiare”, e si dà allo shopping: il forno a microonde, il televisore a 32 pollici, il tanto desiderato “pollo con patate e olive”; alle stelle le bollette elettriche e del gas.

Rosaria osserva ammutolita e impotente lo sgretolarsi delle sue convinzioni, ad ogni esborso annunciato dalla sorella spendacciona china la testa in segno di disappunto.

Come forma di protesta, sceglie di non mangiare né bere.

È l’epilogo della vicenda.

Tinuccia, mossa da un senso di umanità, riconosce lo stato di sofferenza in cui versa Rosaria. La compassione gradualmente prevale su di lei. Ora, la sua esistenza senza la presenza dell’altra sarebbe priva di significato. Pertanto, decide di ritrattare e ammette di aver mentito riguardo agli acquisti, come atto di vendetta. Anche l’annunciata vendita del negozio si rivela essere stata una finzione.

Rosaria è immobilizzata dalla malattia, tuttavia il pentimento manifestato dalla sorella agisce come un rimedio terapeutico, donandole nuova energia.

Con un rapido movimento della testa, la donna morde il boccone di pasta al sugo finto offertole da Tinuccia, una prima volta, e poi una seconda. Rosaria riesce così a riaffermare sé stessa, compiendo un atto che rappresenta il suo definitivo segno di trionfo, espresso con fermezza verso la sorella con un sonoro “vaffa”.

La commedia, sebbene apparentemente leggera e spiritosa, può essere interpretata come un dramma della solitudine, un tema estremamente attuale nella società contemporanea, caratterizzata da situazioni di isolamento sia fisico che emotivo, che colpiscono maggiormente le persone anziane, ma anche i giovani, i quali spesso basano  le loro relazioni sociali su strumenti tecnologici.

Cinzia Di Pietro, nel ruolo di Rosaria, e Antonella Tatì, nella parte di Tinuccia, hanno dato ancora una volta una prova eccellente delle loro capacità attoriali.

Sotto la direzione accurata di Annamaria Puglisi, sono riuscite a interpretare i loro ruoli con grande sicurezza e sinergia, rappresentando realisticamente uno scenario in cui molti spettatori hanno potuto riconoscersi, avendo vissuto situazioni familiari segnate dalla malattia.

Luigi Lo Presti

 

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