A proposito delle mitiche sette torri arabe di Mascali -
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A proposito delle mitiche sette torri arabe di Mascali

A proposito delle mitiche sette torri arabe di Mascali

Il 26 maggio, a firma del dott. Mario C. Cavallaro, è apparso l’articolo dal titolo “Le sette torri dello stemma della Contea di Mascali”, nel quale l’autore ha sostenuto la corretta tesi, non solo della probabile origine araba di dette torri ma, soprattutto, il loro essere state ubicate nelle mura di quell’antica Mascali o, al massimo, sostengo io, all’interno dell’abitato, e non per il vasto territorio governato da quella città (quindi, non possono, fra quelle Sette Torri, essere incluse o Torre Archirafi, o quelle di Malogrado, o altre).

La tesi del dott. Mario C. Cavallaro era già stata sostenuta da me nel 2023, alle pagg. 17-20 del mio voluminoso libro, di 554 pagine, “Mascali e il suo territorio – La Storia – Dai Bizantini a Carlo III di Borbone (535-1759)”, nel capitolo “Le arabe Sette Torri mitiche di Mascali”, del quale io riporto qui di seguito i contenuti (affinché il lettore possa trovare, in merito, ulteriori indicazioni), liberati, per motivi di ovvio spazio, delle parti non essenziali (omettendo, in questo articolo, anche i quattordici riferimenti bibliografici che il lettore potrà recuperare ricercando il mio volume, il quale, fra l’altro, può essere rintracciato, pure, nelle biblioteche del nostro territorio). Altra tesi scorretta è stata, anche, in questi decenni, quella di far coincidere sì le Sette Torri poste lungo il circuito fortificato della città ma proprio con le lontani già citate Torri o dell’Archirafi o di Malogrado o di altre; e, per far coincidere ciò, alcuni hanno sostenuto l’impossibile soluzione di una Mascali, addirittura in periodo arabo, grande dall’antico abitato pre-1928 fino all’Archirafi.

Qui, di seguito, dunque, il testo di quelle pagine del mio sopracitato studio storico.

Per discutere delle “mitiche” Sette Torri di Mascali (poste nello stendardo dell’odierno Comune di Mascali e anche in quello di Giarre, e una torre, probabilmente quella dell’Archirafi, che come diremo non ci sembra appartenere alle mitiche sette, trovasi nello stendardo del Comune di Riposto), riteniamo necessario partire da quanto scritto, nel 1901, nel libello “Mascali”, da Salvatore Raccuglia e da Antonio Calì, al fine di ragionarlo, per accettarne in parte il contenuto e per respingerlo per altra parte: “La città (Mascali; n.d.a.) – essa (la tradizione; n.d.a.) narra – sorse all’epoca dei saraceni, i quali la munirono di sette torri e l’abitarono sin che il popolo non li cacciò, quantunque da queste torri, ove eransi chiusi, gettassero olio ed acqua bollente su chi ardiva avvicinarsi. Mascali era allora estesissima, una delle più grandi dell’Isola, giacché i resti delle sue torri noi dobbiamo riconoscere, non solo in quella che sorge presso la sua chiesa madre, ma anche nelle altre di Riposto e di Archirafi, ciò che importa a cinque e ad otto chilometri di distanza. Ma una grande corrente di lava, emessa in una eruzione dell’Etna, la seppellì e la distrusse, così che quando la si tentò di rifabbricarla non si potè più farne che una cittadina in confronto alla prima, una cittadina che si chiamò Mascalicchio. Più tardi peraltro anche Mascalicchio fu ingoiata dalla lava, cosicché la città dovè rifabbricarsi una terza volta, ed ebbe il nome di Mascalarum, e quelle torri cui abbiamo accennato e la vita insomma che finì col trasformarla nella moderna cittadina. Questa la leggenda”. Chiunque osi sostare (e, a me, capita di farlo) nella Piazza (Duomo) dell’odierna Mascali post-1928 ascolterà che il dibattere, raro, sugli argomenti di storia patria, vertono o su Callipoli o sul significato del toponimo “Mascali” o sulla colata lavica del 1928 o, propriamente, sulle mitiche sette torri, a cui sono state sempre dedicate o società sportive o imprese di ristorazione, e il racconto di piazza ricalca i contenuti di Raccuglia e Calì, comprensivi di Mascalicchio e di Mascalarum, inesistenti in quanto tali e frutto […..]di un’impostura seicentesca.

A parte l’acqua calda e l’olio bollente fantasticati dai nostri due autori e scagliati da arabi rinserrati in dette torri e assaliti dagli infedeli normanni, il loro scritto sottintende un concetto che noi riteniamo, in sé, esatto e cioè che le sette torri dovettero essere state ubicate, dagli arabi, dentro lo spazio dell’abitato di Mascali, in parte o in tutto nel suo circuito probabilmente fortificato o semifortificato, e non nello sparso ampio territorio di competenza di Mascali, dal mare alla montagna […..]

Raccuglia e Calì, dovendo tenere saldo il principio che le sette torri si trovassero nell’abitato e volendo a tutti i costi almeno includere, fra queste, proprio l’Archirafi e la Laviefuille, inventarono, come soluzione impossibile, addirittura, un’estensione dell’abitato dell’antica Mascali araba dalla collina, dove si trovava nel 1901 fino al mare di Riposto e di Archirafi.

Vincenzo Di Maggio, nel 1976, incorse nella stessa impostazione ragionativa dei due nostri storici di inizio Novecento, e cioè da un lato asserì, correttamente, che le torri dovevano trovarsi dentro “il circuito urbano” e, dall’altra, volendo includere fra di esse quelle di Malogrado, nei pressi dell’odierna santa Maria la Strada, immaginò una possibile Mascali araba che si estendesse dalla collina e fin dove oggi trovasi proprio il Santuario della Strada: “…delle due ‘Torri di Malogrado’, in contrada detta ‘Terre di malo grado’, erette dai Saraceni nei pressi del Santuario di Santa Maria La Strada, sembra ancor di più suffragare la tesi da noi sostenuta sulla ubicazione delle sette torri di Mascali lungo il circuito urbano di detta città, che nel periodo saraceno potrebbe aver abbracciato i luoghi dove poi sorse il Santuario, delimitati dal vicino torrente Macchia”.

Che le antiche sette torri dovevansi trovare nel circuito dell’abitato di Mascali era convinzione antica, tanto che l’abate Vito Amico, nel 1760, ebbe a scrivere: “Vedevansi sette torri verso il suo (di Mascali; n.d.a.) circuito, delle quali perdurano due sole e conosconsi le altre dalle vestigia”.

Giuseppe Recupero, poco dopo la metà del Settecento: “Tutta la Città di Mascali oggi ridotta molto povera di forze, e di popolazione per il malgoverno dei Ministri, esistendo ancora gli scheletri delle sue antiche torri”.

Giacomo Mercurio, nel 1815: “Vi erano attorno della città di Mascali sette antiche torri, che credonsi erette dai Saraceni. Esse formano lo stemma della città. Oggi sono demolite e solo ne esistono due quasi all’intutto diroccate”.

Nel 1950, Agostino Nicotra Rizzo le aveva ubicate, invece, per il vasto territorio di Mascali e anche oltre, includendo, agli estremi temporali, torri arabe e anche la Laviefuille di metà Settecento: “Mascali, l’antichissima città delle sette torri…era così denominata per il suo territorio delimitato appunto da sette torri. Di esse due erano situate ai confini settentrionali e meridionali. La prima a Chianchitta, località a nord di Calatabiano tra il fiume Alcantara e il torrente Santa Venera. L’altra presso il torrente Mangano, confine meridionale del territorio. Le altre si trovano in punti intermedi e strategici. Una a Riposto…Un’altra, situata pure sulla spiaggia, sorgeva a Torre Archirafi, borgata a 2 Km. a Sud di Riposto. Una quinta torre all’ingresso della antica città di Mascali, dove poi sorse il Cimitero. Le altre due erano le cosiddette ‘Torri di Malogrado’ erette dai saraceni presso il luogo dove poi sorse il santuario di santa Maria della Strada, fondato dal Conte Ruggero il Normanno nel 1081”.

Gli abitanti della vecchia Mascali, quella pre-1928, avevano congettura, evidentemente per tradizione tramandata oralmente, che alcune torri esistenti nel loro abitato, poi distrutto dalla lava, andavano riferite alle mitiche sette (e, probabilmente, dovevano ritenere che tutte le sette si trovassero attorno o nell’abitato della Mascali araba); affermo questo, per via delle memorie, scritte nel 1929 (nell’italiano quasi sempre scorretto di chi non era andato oltre la terza elementare), rocambolescamente ritrovate e poi di recente pubblicate, di un figlio di quella Mascali fra fine Ottocento e primi Novecento, che fu Salvatore Coco, il quale, facendo riferimento proprio alle sette torri, le indica come arabe (quindi, era questa la convinzione popolare nell’antica Mascali, che il Coco da convinzione corale fa propria e la pone per iscritto): […….] “Mascali…Aveva una antica fortezza saracenica, varie torri quadrate in circuito ed altri avanzi di antichi tempi”.

Nel 1914, “La Trinacria-Annuario di Sicilia” ebbe, fra l’altro, a scrivere: “Avanzi di torri che in antico formavano la grande Città di Mascali”.

Santa Sorbello […….] ha immaginato le sette torri come sette torrioni nella cinta muraria della città: “Di fondazione araba il ‘villaggio di Masqualah’, fortificato da una cinta muraria costellata da sette torrioni”.

Antonino Alibrandi

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