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Giarre, alla ricerca del siciliano perduto

Giarre, alla ricerca del siciliano perduto

Interessante e partecipata conferenza organizzata dalla locale associazione “L’Agorà” per “salvare” dalla definitiva estinzione le parole e le caratteristiche espressioni della nostra lingua-dialetto, rispolverate e spiegate dallo studioso Santino Lombardo, profondo conoscitore di usi, costumi ed idiomi dei vari Comuni dell’area jonica etnea e peloritana

Quali conferenze possono essere più culturalmente interessanti ed, al contempo, accattivanti ed “allegre” di quelle aventi ad oggetto la riscoperta degli antichi detti popolari e delle parole dialettali ormai in disuso? Una di esse ha avuto luogo qualche sera fa nella cittadina etnea di Giarre su iniziativa della locale associazione “L’Agorà”, guidata dal presidente Andrea La Ganga, nella sua sede di Via Carolina, per l’occasione stipata di spettatori provenienti anche dai vari centri viciniori nonché da quelli della contigua area jonica messinese.

A relazionare sul tema “Alla ricerca del linguaggio perduto: salvare le parole dall’estinzione” era Santino Lombardo, noto storico peloritano, autore di diverse pubblicazioni ed attualmente responsabile del ben organizzato museo etnoantropologico del Comune di Savoca.

Nella sua coinvolgente “conversazione” all’associazione “L’Agorà”, Lombardo è stato affiancato dal docente in pensione Marcello Finocchiaro, memoria storica di Giarre e dintorni.

«Recuperare il dialetto locale – ha esordito Santino Lombardo – non è affatto un’operazione “nostalgica” bensì un modo per riappropriarci della nostra identità, tra l’altro tutelata dall’Unesco e dalla Regione Siciliana che, di recente, ha fatto rientrare il dialetto nel cosiddetto “Registro delle Eredità Immateriali” (R.E.I.). Oggi, purtroppo, tante espressioni del nostro idioma tipico sono scomparse a causa di quella omologazione culturale che spinge a parlare unicamente la lingua italiana, sicuramente strumento indispensabile per farsi capire ovunque, ma che non deve comunque annientare il nostro passato».

Nella conferenza giarrese, Lombardo ha anche sottolineato come già nel lontano 1870 tal Antonino Traina, autore di un “Vocabolario Siciliano-Italiano”, ebbe ad invitare i sindaci dell’isola ad inviargli le rispettive “parlate paesane”, senza però ottenere riscontri a tale sua richiesta.

«Sta di fatto – ha messo in guardia il relatore – che se una casa perde un pezzo, è sempre possibile, con le adeguate opere di muratura, recuperarlo; mentre se una parola scompare la si perde per sempre».

Ed, al riguardo, il prof. Finocchiaro ha spiegato che «il vernacolo resta impresso nelle menti quando lo si “assorbe” sin dagli anni dell’infanzia, mentre in una famiglia in cui si parla solo la lingua italiana, il bambino non potrà mai appropriarsi delle espressioni dialettali della sua terra. Il rischio che i dialetti vengano “seppelliti” per sempre è, dunque, molto forte».

Dopo i preamboli iniziali, Santino Lombardo ha “divertito” e coinvolto il nutrito uditorio citando i tanti termini e modi di dire un tempo in voga nell’area jonica della Sicilia Orientale, comprendente sia i Comuni etnei di Giarre, Riposto, Mascali e Fiumefreddo, e sia quelli contigui del Taorminese e della Valle dell’Alcantara.

Il relatore ha, quindi, accennato, a certe “vendette campanilistiche” consumate dalle nostre parti proprio attraverso il dialetto, riferendosi in particolare ai messinesi a tutt’oggi soprannominati “buddaci” (infimi pesci dalla bocca sempre aperta, così come tanti abitanti del capoluogo peloritano, adusi a millantare poteri, amicizie e gesta eroiche, in realtà inesistenti), ai francavillesi detti “sciavalattughe” (epiteto appioppato loro dagli abitanti del vicino Comune di Castiglione di Sicilia, che si ritenevano di rango superiore) ed ai roccellesi “scorciavacche” (in quanto tutti dediti alla pastorizia); ma anche ai linguaggi dei vecchi pescatori ed alle tutt’ora esistenti “contaminazioni linguistiche” tra Messina e Riposto (come il termine “abbissari”, inteso come “sistemare un qualcosa”, utilizzato nei due centri), dovute all’approdo nel Comune etneo di numerosi abitanti della Città dello Stretto, scappati dalla cruentissima guerra del XVII secolo tra “Merri e Marvizzi” (ossia plebei “merli” da una parte e nobili “tordi” dall’altra), da cui il modo di dire “non ‘mmiscari merri e marvizzi”, nel senso di “non mettere insieme le due cose perché potrebbero scaturirne spiacevoli conseguenze” come, per l’appunto, quella sanguinosa rivolta del 1674 che segnò la decadenza di Messina.

Santino Lombardo ha, inoltre, ritenuto doveroso menzionare gli ultimi “custodi” del dialetto locale, ossia l’indimenticato cantastorie di Riposto, Orazio Strano, ed il suo collega di Mascali, Turiddu Bella, autori, sia singolarmente che in coppia, di autentici poemetti in musica che hanno attinto a piene mani dagli idiomi popolari dei loro paesi.

Non poteva mancare, infine, qualche “garbatamente pruriginoso” riferimento ai tanti doppi sensi di natura erotica cui il dialetto siciliano dell’area jonica etnea particolarmente si presta (e di cui fu maestro il famoso poeta catanese Micio Tempio).

Il relatore, con i suoi toni colloquiali per nulla “professorali”, ha affascinato e messo a proprio agio il nutrito uditorio, che è stato anch’esso protagonista dell’“intrigante” conferenza rivolgendo a Lombardo parecchie domande sulle origini etimologiche di termini dialettali piuttosto curiosi quali “sciamarru” (ossia la picozza come veniva chiamata a Francavilla di Sicilia), “caiccu” (imbarcazione), “scola” (intesa sia come luogo d’istruzione e sia come porzione di terreno destinata ad una determinata coltivazione, da cui il divertente calembour “inveci di iri a scola, a siminiti na scola di cipuddina”, ossia “invece di andare a scuola, vatti a seminare una solca di cipollina”), ecc.

Grazie alla recente iniziativa dell’associazione giarrese “L’Agorà” ed alla generosa disponibilità di Santino Lombardo, sono stati così resi i dovuti “onori” alla cosiddetta “lingua povera” dei nostri avi, ma che pur sempre “lingua” (e non semplice “dialetto”) è, così come ha decretato l’Unesco alcuni anni addietro, inserendo altresì il lessico siciliano tra i “patrimoni dell’umanità”.

Rodolfo Amodeo

 

FOTO: Santino Lombardo da solo ed insieme al prof. Marcello Finocchiaro durante la recente conferenza dell’associazione “L’Agorà” di Giarre   

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