Paternò fa “en plain” con 16 arresti di mafia FOTO e VIDEO -
Catania
17°

Paternò fa “en plain” con 16 arresti di mafia FOTO e VIDEO

Paternò fa “en plain” con 16 arresti di mafia FOTO e VIDEO

Grazie anche alla collaborazione del killer Franco Musumarra sgominati i due clan mafiosi dei Morabito-Rapisarda vicino al clan Santapaola e degli Alleruzzo-Assinnata vicino al clan Laudani. Piena luce su omicidi, agguati falliti e strategie criminali in una delle “piazze” più calde della Sicilia orientale

LE INTERCETTAZIONI

Associazione di tipo mafioso, omicidio, tentato omicidio: questi i reati contestati a 16 persone arrestate, come anticipato, questa mattina, a Paternò. Infatti i carabinieri del Comando Provinciale di Catania, coadiuvati in esecuzione da quelli di Brescia e collaborati dallo Squadrone Eliportato Cacciatori “Calabria” e dal Nucleo Elicotteri, hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal Gip del Tribunale etneo, su richiesta della locale Procura Distrettuale della Repubblica. I provvedimenti restrittivi scaturiscono dagli esiti dell’attività investigativa sviluppata dai Carabinieri del Reparto Operativo di Catania e della Compagnia di Paternò, sotto la direzione ed il coordinamento della Direzione Distrettuale Antimafia di Catania, a seguito di due gravi fatti di sangue verificatisi nell’estate del 2014.

Il 27 giugno 2014, alle prime ore del mattino, a Paternò, dei sicari esplodevano una serie di colpi d’arma da fuoco all’indirizzo di Salvatore Leanza, il quale rimaneva ucciso. Il Leanza era stato scarcerato qualche mese prima dopo avere scontato una lunga condanna per associazione mafiosa ed omicidi, tra i quali anche quello in danno di Alfio Rapisarda, avvenuto nel 1980, ed era ritenuto elemento di vertice del sodalizio mafioso Alleruzzo, già operante su Paternò e contrapposto a quello dei Laudani.

Le indagini venivano da subito indirizzate nei confronti di Salvatore Rapisarda, fratello del citato Alfio ed elemento di spicco del clan Laudani, il quale, subito dopo l’omicidio del Leanza, aveva adottato cautele, quali quella di evitare di uscire da casa, tanto da gestire la sua attività di parcheggio di autoveicoli dalla propria abitazione, che consentivano di comprendere come egli temesse ripercussioni per la propria incolumità personale. Alcune settimane dopo il suddetto omicidio, in data 15 luglio 2014, Salvatore Rapisarda veniva tratto in arresto in esecuzione di un provvedimento di carcerazione per l’espiazione di un residuo pena e quindi associato presso la casa circondariale “Bicocca” di Catania, dove veniva avviato idoneo monitoraggio tecnico, tramite attività di intercettazione.

L’altro episodio risale al 30 luglio 2014 quando Giamblanco Antonino, uomo di fiducia del defunto Leanza, si trovava alla guida della propria autovettura e veniva avvicinato da alcuni killer che, dopo aver tentato invano di fermarne la corsa, esplodevano contro di lui numerosi colpi di arma da fuoco. Il Giamblanco, tuttavia, essendo riuscito a mettersi in fuga, rimaneva illeso. Le risultanze delle investigazioni già in corso permettevano di comprendere da subito come i due episodi delittuosi fossero tra di loro strettamente collegati.

L’attività di indagine complessivamente svolta ha quindi consentito di ricostruire le strutture dei due gruppi mafiosi contrapposti operanti in Paternò, quello dei Morabito-Rapisarda e quello facente capo al deceduto Leanza Salvatore (quest’ultimo inserito nel più noto clan mafioso storicamente denominato Alleruzzo-Assinnata), entrambi rispettivamente considerati articolazioni locali del clan Laudani e della famiglia Santapaola. Venivano, infatti, acquisiti gravi elementi indiziari in ordine alle dinamiche criminali che regolavano le condotte illecite dei citati sodalizi e che avevano portato a tali due gravi fatti di sangue, avendo il gruppo Morabito-Rapisarda posto in essere una strategia di vera e propria eliminazione del gruppo contrapposto.

Il Gip presso il Tribunale di Catania, in accoglimento della prospettazione accusatoria formulata dal P.M., ha quindi ritenuto sussistenti gravi indizi di colpevolezza a carico di Salvatore Rapisarda, in qualità di mandante, in merito all’omicidio di Salvatore Leanza, fatto che affondava le sue radici nella storia criminale di Paternò, insanguinata, tra gli anni ’70 e ’90, da una violenta faida tra i due gruppi mafiosi.

Proprio in quegli anni si erano contrapposti i clan Alleruzzo-Assinnata (all’interno del quale militava Salvatore Leanza) e Morabito-Rapisarda, ed in questo contesto erano maturati, tra gli altri, anche gli omicidi di Alfio Rapisarda e di Carmelo Tilenni Scaglione (fratello di Salvatore, oggi colpito da provvedimento restrittivo).

Alla sua scarcerazione Salvatore Leanza aveva recuperato un ruolo di primo piano all’interno del clan Alleruzzo-Assinnata, circondandosi di un gruppo di fedelissimi e formando così un proprio gruppo composto dagli odierni indagati Antonino Giamblanco, Rosario Furnari, Giuseppe Tilenni Scaglione e Salvatore Tilenni Scaglione (i quali sono chiamati a rispondere del delitto di cui all’art. 416 bis c.p.), fatto questo che aveva rotto il già fragile equilibrio criminale venutosi a creare in quel territorio.

Il successivo tentato omicidio di uno dei più stretti collaboratore del Leanza, Antonino Giamblanco, rientrava quindi in una strategia di completa eliminazione del gruppo di Salvatore Leanza ed era stato concepito anche al fine di scongiurare eventuali azioni di vendetta nei confronti del clan rivale Morabito-Rapisarda.

Anche di tale episodio delittuoso è chiamato a rispondere Salvatore Rapisarda, in concorso con il figlio Vincenzo Salvatore ed il sodale Francesco Peci, già tratto in arresto lo scorso 16 ottobre 2014 dai carabinieri della Compagnia di Paternò perché in sua disponibilità venivano rinvenute numerose armi da fuoco, una delle quali, come è emerso dalle indagini scientifiche del RIS di Messina, era stata utilizzata proprio in occasione del tentato omicidio del Giamblanco.

Tale importante rinvenimento era stato preceduto da un altro riscontro raccolto nel corso delle indagini, a riprova della estrema pericolosità dei due gruppi mafiosi contrapposti, vale a dire il sequestro di ulteriori armi da fuoco, questa volta ritenute in disponibilità del gruppo di Salvatore Leanza, in quanto nascoste in un ovile di proprietà dell’indagato Giuseppe Tilenni Scaglione, in Contrada Porrazzo di Paternò. Il Tilenni Scaglione veniva in tale circostanza tratto in arresto nella flagranza del reato di detenzione di armi da fuoco.

Di entrambi i fatti di sangue in parola si è autoaccusato, quale esecutore materiale, Franco Musumarra, il quale alcuni mesi dopo tali gravi episodi delittuosi, decideva di iniziare la sua collaborazione con l’A.G. rendendo dichiarazioni che costituiscono importanti ed ulteriori elementi di prova a carico degli indagati. Gli arrestati odierni, tutti ristretti presso il carcere di Bicocca, saranno interrogati nei prossimi giorni.

Elenco e foto degli arrestati:

BARBAGALLO Antonino, classe 1976;

FARINA Alessandro Giuseppe, classe 1985;

FURNARI Rosario, classe 1978;

GIAMBLANCO Antonino, classe 1965;

MAGRO Antonio, classe 1975;

MORABITO Vincenzo, classe 1960;

PARENTI Giuseppe, classe 1982, già agli arresti domiciliari;

PATTI Vincenzo, classe 1979;

PECI Francesco,  classe 1977, già detenuto nel carcere di Siracusa;

RAPISARDA Salvatore, classe 1955;

RAPISARDA Vincenzo, classe 1988;

SCALIA Sebastiano, classe 1974;

SCALISI Pietro Giovanni, classe 1957, rintracciato a Brescia;

SCIORTINO Angelo, classe 1974;

TILENNI SCAGLIONE Giuseppe, classe 1976, già detenuto nel carcere di Caltagirone;

TILENNI SCAGLIONE Salvatore, classe 1966.

Potrebbero interessarti anche