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“Attenti alle vipere!”

“Attenti alle vipere!”

La vipera è l’unico rettile esistente in Europa pericoloso per l’uomo e durante la bella stagione, oltre i 500 metri, potrebbe rappresentare un’insidia. Ma gli esperti rassicurano “la vipera diventa aggressiva soltanto se l’animale percepisce una minaccia improvvisa”

 PericoloVipere_WebNell’ambiente naturale alto collinare e montuoso oltre 500 metri sul livello del mare, tra l’Etna, i Nebrodi e l’Alcantara, c’è la possibilità di incontrare a distanza ravvicinata una vipera. Pertanto, ci potrebbe essere il rischio – sebbene remoto – di rimanere vittima del suo morso che rarissimamente mette in pericolo di vita la persona malcapitata. Nel territorio di Randazzo questo rettile è molto diffuso, tant’è che in passato rappresentava una fonte di reddito.

Sui Nebrodi la vipera vive in zone preferibilmente solcate da piccoli corsi d’acqua, tra i 1000 e i 1300 metri s.l.m. Invece sull’Etna si incontra prevalentemente vicino ai muretti a secco in prossimità di ginestre, sotto i sassi, in mezzo ad arbusti e siepi, al margine dei boschi.

Quest’anno, le prime segnalazioni di avvistamenti nel territorio comunale di Randazzo sono giunte alla fine di aprile da parte sia di escursionisti, sia di operai forestali. Tuttavia, a fronte delle decine di presunti avvistamenti che annualmente si registrano e che procurano immotivato allarmismo nella popolazione, è opportuno, innanzitutto, distinguere una vipera dall’innocuo colubro leopardino o dal biacco o biscia dal collare che sovente vengono “giustiziati” in luogo delle vipere. Il biacco, ad esempio, è un serpente totalmente innocuo che è in grado di tenere il giardino libero da altri rettili, comprese le vipere, oppure da topi, rane e rospi.

Si sa, i serpenti da sempre hanno suscitato paura nell’uomo e su di essi circolano molte leggende metropolitane, come quella delle vipere gettate dagli elicotteri dalle associazioni ambientaliste o, addirittura, dagli enti Parco, al fine di ripopolare l’habitat naturale. Sebbene il rettile in questione sia una specie molto elusiva e difficile da osservare in natura, studi erpetologici hanno smentito la diceria, diffusa anche localmente, secondo cui la specie sia in continuo aumento.

Normalmente il periodo del ciclo vitale della vipera va dal primo tepore stagionale (marzo) alla fine di novembre, dopodiché segue una fase di letargo.

Ma quali sono le caratteristiche esteriori che contribuiscono a distinguere la vipera da un comune serpente non velenoso e come riconoscere un eventuale morso? L’abbiamo chiesto a un erpetologo. Innanzitutto – ci dice – la vipera è un serpente la cui lunghezza, generalmente, si attesta intorno ai 40-80 cm; il suo colore è grigio-marrone, talora rossastro o giallastro, con una striscia dorsale a zig-zag. La testa è di forma triangolare ed è più larga del corpo. L’apice del muso anteriormente è ricurvo verso l’alto. Gli occhi hanno pupille a fessura verticale, simili a quelle dei gatti. Rispetto al corpo cilindrico, la coda diminuisce di diametro verso l’estremità, assottigliandosi bruscamente. Per quanto riguarda un eventuale attacco da parte di un serpente – afferma lo specialista – bisogna sapere che circa il 20% dei morsi sono cosiddetti “secchi” poiché non vi è alcuna inoculazione di sostanza tossica. Il veleno è essenziale per la vita del rettile, quindi la vipera tende a non sprecarlo mordendo l’uomo, una preda inservibile per la sua alimentazione. Comunque – conclude l’erpetologo – il segno caratteristico del suo morso è la presenza di due piccoli fori più profondi degli altri, corrispondenti ai segni  lasciati dai denti veleniferi”.

Dunque, vediamo quali sono le misure di prevenzione per difendersi da un eventuale attacco viperino. La prima precauzione – raccomandano gli esperti – è quella di indossare un abbigliamento adeguato durante le passeggiate in luoghi impervi (scarpe da trekking o da montagna, calze e pantaloni lunghi che mantengano coperte e protette le zone del corpo a rischio di morso). La seconda consiste nel porre la massima attenzione dove si mettono le mani specie in prossimità di muretti a secco (ad esempio durante la ricerca di funghi, asparagi, ecc.) o di legname accatastato. Comunque, vale sempre il detto proverbiale “la prudenza non è mai abbastanza”.

Salvo Restivo e Dalila Giacobbe, rispettivamente membro e segretario nazionale della “Societas Herpetologica Italica”, ci ricordano che la vipera è meno pericolosa di quanto sembri, non attacca l’uomo e reagisce, più che altro, con la fuga, ma si difende quando avverte di essere in pericolo. “Uccidere una vipera – ci spiegano – è un gesto inutile oltre che illegale e perseguibile con sanzioni pecuniarie giacché tutti i rettili italiani sono protetti da un’apposita legislazione. Le vipere arricchiscono la biodiversità del nostro territorio e hanno un ruolo ben preciso nell’equilibrio dell’ecosistema. Per questo motivo – fanno appello i membri “Societas Herpetologica Italica” – invitiamo tutti a segnalare eventuali avvistamenti di vipere all’indirizzo http://www-3.unipv.it/webshi/ o via e-mail a atlante.shi@gmail.com) indicando località, data dell’avvistamento e possibilmente allegando una foto dell’animale. In questo modo si contribuirà a mappare e studiare la distribuzione di questo affascinante ofide”.

Gaetano Scarpignato

Ma sapevate che a Randazzo…?

Nei secoli passati alcune famiglie della città medievale chiamate “Sanpaolari” o “Cirauli” davano la caccia con molta destrezza alle vipere per ricavarne una fonte di reddito. Era una delle attività più remunerative e si svolgeva prevalentemente a maggio. Gli uomini che cacciavano le vipere erano armati soltanto di un bastone forcuto la cui estremità misurava circa tre centimetri. I cacciatori di vipere cercavano i rettili fin nelle loro tane. Individuata una vipera, applicavano con agilità il bastone forcuto sul suo collo che schiacciavano leggermente a terra per timore di uccidere o ferire l’animale. Una volta immobilizzata, la vipera era presa per la coda e agitata in aria in modo da spezzargli con una severa scossa la colonna vertebrale. Dopodiché venivano gettate in un sacco, o in un canestro pieno di lana che le vipere mordevano rabbiosamente inoculando il loro “prezioso” veleno. Le fibre attorcigliandosi attorno alla lingua e ai denti impedivano ai serpenti di nuocere all’uomo. Le vipere così catturate vivevano per tre o quattro mesi senza essere alimentate, neanche con un po’ d’acqua. I batuffoli di lana impregnati di veleno venivano man mano venduti, a un prezzo elevato, a farmacisti, medici e alchimisti che ne confezionavano medicamenti per la popolazione.

Gaetano Scarpignato

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