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Call center, fuga dalla speranza

Call center, fuga dalla speranza

La delocalizzazione all’estero, che sembra essere la scelta prioritaria per molte aziende italiane, mette a rischio centinaia di posti di lavoro. La denuncia del sindacalista Cgil, Giovanni Pistorio

Nel settore dei call center, negli ultimi anni, hanno trovato occupazione in maniera non provvisoria, contrariamente a quanto la convinzione diffusa andava affermando, sempre più lavoratori di tutte le fasce di età, tanto è vero che, oggi, ben il 60% degli addetti ha più di 40 anni di età, perlopiù in possesso di livello di istruzione medio-alto. Quindi quella che pareva dovere essere un’occupazione provvisoria, in attesa di migliori prospettive professionali, legata essenzialmente all’età giovanile, per tante donne (67%) ed uomini (33%) si è trasformata, con il passare del tempo, in una occupazione attorno alla quale si sono consolidati i vissuti di intere comunità. Quindi, nel caso di una probabile crisi occupazionale, un’intera generazione potrebbe essere condannata alla marginalità e all’esclusione sociale. Fu, infatti, dal momento in cui fu avviata, per il settore, una fase di concertazione tra il Governo e le parti sociali, attraverso la quale si gettarono le basi per alcune specifiche circolari ministeriali attuative (circolare Damiano 2006) che, finalmente, il lavoro nel call center emerse e fu, quindi, avviata una grande campagna di stabilizzazione dei rapporti di lavoro.

A partire dal 2009, però, anche il settore dei call center ha iniziato ad involversi ed oggi, purtroppo, rischia di scomparire, con effetti drammatici sull’occupazione attorno alla quale tanta gente ha costruito il proprio percorso di vita: aziende che chiudono, altre che fanno largo ricorso agli ammortizzatori sociali e, soprattutto, tante altre che delocalizzano la propria attività all’estero, soprattutto verso i paesi extra-Ue, alla ricerca di facili guadagni.

A nostro avviso i principali vettori del verticale tracollo dell’occupazione nel settore con effetti irreversibili sulla coesione sociale di intere comunità sono:

1) Il ricorso, da parte delle committenti, che sono quelle operano nel settore delle telecomunicazioni (Telecom, Vodafone, Wind, H3G), dei media (Sky e Mediaset) e dell’energia (Enel, Enel Energia, Sorgenia, etc.), all’assegnazione dell’appalto ai call center attraverso il meccanismo del massimo ribasso. Quindi, senza nessuna garanzia minima per la copertura delle retribuzioni del personale dipendente. Ragion per cui se, per esempio, viene assegnato un appalto a meno di 17 euro l’ora ed il costo di un lavoratore al 3° livello di inquadramento è di poco più di 20 euro, nei fatti, si induce l’impresa aggiudicataria a spostare parte delle commesse verso i paesi extra UE, nei quali i costi del lavoro e di gestione sono decisamente più bassi, anche per l’assenza di precise regole e norme sul lavoro e sulla privacy;

2) la mancata attribuzione di responsabilità solidale per l’appaltante in caso di inadempienze dell’appaltatore (nonostante il volume d’affari nel settore superi il milione di euro di fatturato);

3) la assoluta deresponsabilizzazione per gli appalti affidati ai call center attraverso le cosiddette agenzie;

4) la delocalizzazione delle attività verso i paesi extra-Ue, nei quali non vengono, spesso, garantiti le tutele ed i diritti minimi dei lavoratori ed una adeguata protezione dei dati personali degli utenti italiani, in quanto non sono presenti leggi omogenee a quelle vigenti in Ue sulla tutela dei dati sensibili, con conseguente rischio per la tutela dei dati anagrafici, di quelli fiscali, di quelli bancari e di quelli biometrici;

5) il dumping territoriale, che consiste nel diverso sistema dei contributi all’impiego presenti nel territorio nazionale. In pratica, se io oggi fossi il titolare di un call center e decido di aprire una azienda in Sicilia, potendo contare su un certo sostegno, domani potrei sapere che un sistema più vantaggioso, nel frattempo, è stato varato in una altra parte del paese e, quindi, potrei decidere di posizionanare lì le mie attività.

E, comunque, il pericolo immediato per l’occupazione è la delocalizzazione delle attività all’estero e se non si interviene per tempo potremmo assistere alla più massiccia delocalizzazione all’estero di attività che ha investito, da sempre, il sistema Italia. una prospettiva le cui ricadute negative in termini occupazionali e sociali, potrebbero essere inimmaginabili, tanto più che la maggior parte degli addetti, più del 50%, risiede nelle isole ed in particolare nella nostra isola, tra il catanese ed il palermitano. Nei fatti, nei prossimi mesi, l’intero settore dei call center in outsourcing rischia di scomparire, con la conseguente espulsione dal lavoro di più di 8.000 addetti, sugli oltre 90.000 presenti sull’intero territorio nazionale, anche loro immediatamente a rischio. Per quanto riguarda la zona ionica, sono parecchie centinaia i lavoratori interessati.

Alla luce di tale condizione – afferma Giovanni Pistorio, sindacalista Cgil – chiediamo, quindi, che ci sia la massima attenzione da parte di tutte le Istituzioni perché, solo attraverso una attenta analisi delle condizioni ed il conseguente costruttivo percorso legislativo, si possono mettere in atto tutte quelle misure atte a garantire la tenuta occupazionale nell’intero territorio nazionale e nel nostro territorio, che è la vera patria dei call center. Gli appelli non stanno rimanendo inascoltati, tanto è vero che nel corso di un incontro, tenuto nel mese di novembre presso la Camera dei Deputati, in presenza del Presidente On.le Cesare Damiano e della componente On.le Luisa Albanella e una delegazione della Cgil di Catania, composta da me stesso nella qualità di Segretario provinciale, da Davide Foti, segretario della categoria che si occupa di telecomunicazioni, da Enzo Cubito che è il direttore del patronato provinciale e da Giuseppe Oliva che è il Segretario provinciale del Nidil, si è convenuto di dare il via ad una commissione parlamentare di indagine sui call center, la cui presidenza è stata affidata all’On.le Luisa Albanella, che ha già iniziato, la settimana passata, le audizioni ufficiali di un fitto calendario di tutte le parti interessate. Inoltre, in occasione del 1° maggio, la Presidente della Camera, On.le Laura Boldrini, ha incontrato una delegazione di lavoratori dei call center di tutta Italia (il capo delegazione è stato un catanese), assicurando loro il massimo impegno, tanto è vero che anche la prima parte del suo messaggio ufficiale in occasione del 1° maggio è stato dedicato ai lavoratori dei call center. Sono, inoltre, in corso iniziative ufficiali di alcuni Sindaci del nostro territorio, a sostegno della vertenza e dell’occupazione e di tutti questi fatti se ne sta occupando, con parecchia attenzione, la stampa nazionale Per il 4 giugno, infine, è stata indetto da Cgil, Cisl e Uil lo sciopero nazionale dell’intero settore ed organizzata, la “No delocalizzazioni Day (vedi profilo facebook), una manifestazione nazionale dei lavoratori dei call center che si terrà a Roma alla quale parteciperà, partendo con diversi pullman ed attraverso i treni una nostra foltissima rappresentanza. Per quanto ci riguarda, siamo preoccupati ma pure fiduciosi perché riteniamo che, finalmente, si sia presa piena coscienza della portata sociale del problema e che il tempestivo movimento delle istituzioni preposte, a partire dalla Presidenza della Camera e dalla Commissione Lavoro, possano permettere di individuare adeguate misure e norme adeguate alla risoluzione della crisi. Però, bisogna contribuire a tenere alto il livello di mobilitazione, sennò potrebbe essere la fine”.

Armando Castorina

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