Analisi sulle primarie regionali del Pd -
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Analisi sulle primarie regionali del Pd

Analisi sulle primarie regionali del Pd

Raciti 84, Monastra 41, Lupo 10, numeri impietosi segnano la bassa affluenza al voto delle Primarie giarresi per l’elezione del Segretario Regionale del PD e a poco deve essere servito che in ciascuna delle liste per l’assemblea regionale del partito, collegate al candidato segretario, ci fosse un esponente giarrese, segnatamente Tania Spitaleri per Fausto Raciti (29 anni, deputato nazionale e segretario dei Giovani Democratici, candidato di renziani e cuperliani di Sicilia, segno di una pax siciliana al vertice del partito), Luigi Magaraci per Antonella Monastra (consigliere comunale a Palermo espressione del gruppo Civati in Sicilia), Giovanni Patanè per Giuseppe Lupo (Segretario Regionale uscente, radici nella Cisl, esponente di Areadem). È la quarta occasione elettorale, dopo l’assemblea di circolo per la selezione dei candidati per le Primarie dell’otto dicembre, le Primarie Nazionali medesime, l’elezione dei membri dell’assemblea provinciale e del segretario provinciale e la fase di circolo della convenzione regionale, e ultime le primarie regionali di domenica scorsa. E sebbene si sia votato molte volte si è discusso poco, in linea con una tendenza generalizzata nel partito e nella vita politica italiana, si procede a ripetute conte numeriche come se nel solo fuoco delle urne, più o meno piene, si potesse rigenerare la vitalità di un partito e della politica tutta. Si è pensato che le somme dei voti avrebbero restituito, come in un automatismo, una sintesi politica senza che fosse necessario condurre fino in fondo un sano, vivo, anche a tratti aspro, dibattito. Il fatto che ciò non sia avvenuto, e che specie nei congressi locali gli apparati si siano pesati, ha per un verso inibito la partecipazione del voto libero – quello per intenderci delle primarie per il segretario nazionale, fondato su una autonoma formazione del consenso – facendo smarrire la natura stessa del primarie aperte, rivolte più all’attivismo scevro da cooptazione e ai simpatizzanti  in funzione mobilitante, per altro verso ha appiattito il tono del dibattitto stesso sui numeri, che hanno silenziato il fascino della politica come narrazione, e  rappresentazione, inter-dictum tra cittadini elettori e cittadini eletti. Circostanza aggravante è poi che non si è voluto o non si è potuto far coincidere sotto il profilo logistico più appuntamenti nella medesima data, moltiplicando le occasioni di voto, rendendo complessivamente disorganico e frazionato il cammino verso il cambiamento di linea, che il partito andava assumendo in questa stagione congressuale. È stata sollecitata più volte la partecipazione democratica, tra buchi comunicativi, diffuso deficit informativo, insufficiente dibattito nella cosiddetta base, sino a raggiungere i picchi negativi di affluenza alle primarie regionali, con un surplus di partecipazione schizofrenica, che ha finito per ratificare le decisioni degli apparati. Questo è stato l’esito, in fondo scontato, di questa convulsa stagione politica. Est modus in rebus si sarebbe potuto dire. Le forme e le formalità della procedura democratica avrebbero potuto essere più accoglienti, coinvolgenti e questo snodo dovrebbe aprire una riflessione profonda sulla forma partito, pietra angolare delle democrazie parlamentari. Anche Giarre non ha fatto registrare una distonia con l’andamento generalizzato. Qui dove il blocco cuperliani, renziani, Megafono schierava Tania Spitaleri, consigliere comunale in carica, ci si aspettava probabilmente qualcosa di più in termini di partecipazione al voto, e qualcosa di più dell’ottantina di voti rimediati da Raciti, ma la rivelazione sono forse stati i consensi per Antonella Monastra che in percentuale sono il 30% circa (un segno di dissenso sottotraccia nell’ala maggioritaria del partito?) e fanno registrare uno dei migliori risultati in provincia di Catania della civatiana. Adesso il PD giarrese, dovendo ancora svolgere il congresso comunale per l’elezione del segretario, si trova al bivio tra la strada della matematica elementare, fatta di somme e divisioni tra fazioni e un nuovo corso che metta su un cantiere che restituisca l’ambizione perduta di costruire il cambiamento in una città stanca e che ha smarrito la sua identità di città di scuole, dell’artigianato, dei servizi e del commercio. Il Partito Democratico può ancora indugiare nelle schermaglie al suo interno o costruirsi, e costruire con la città, una centralità politica e uno schieramento di forze progressiste e civiche, che per ora sia opposizione alla giunta di centrodestra, ma che nei prossimi anni possa pensare, a partire da un insediamento sociale più radicato, a una nuova storia amministrativa per Giarre. C’è da riannodare i fili del partito – l’organizzazione prima di tutto – e ritessere la tela della partecipazione, i giarresi come tanti cittadini della provincia italiana sono stati relegati ad un ruolo di marginalità nel quadro politico, spetta al PD come partito democratico far recuperare loro il protagonismo nella vita amministrativa e politica affrontando i nodi intricati di rappresentanza e narrazione, una miscela di rappresentazione degli interessi, attraverso il continuo rapporto tra cittadini eletti nelle istituzioni e cittadini elettori, e descrizione di un orizzonte nuovo di un partito come comunità politica che si sforza di costruire una città più giusta, dove ambire a vivere e creare una famiglia e un futuro, dove la marginalità sociale si combatta e ci si (pre)occupi degli ultimi. È questo è il bivio che aspetta questo PD giarrese, ancora giovane per non smettere di essere litigioso, ma già abbastanza adulto da aver smarrito l’innocenza dei sogni  e allora va ritrovata la capacità di sognare, e forse può tornare utile ascoltare quell’eco kennediana «alcuni vedono le cose come sono e si chiedono perché, io sogno cose che non sono state mai e mi chiedo perché no».

Dario Li Mura

foto di Salvatore Contino

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