Giarre e Noto unite per celebrare i loro poeti -
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Giarre e Noto unite per celebrare i loro poeti

Giarre e Noto unite per celebrare i loro poeti

Un’emorragia di palpiti, come quelli che Giuseppe Macherione e Mariannina Coffa si scambiarono nel loro rapporto epistolare. Un’emorragia di fermenti, come quelli che animarono Macherione contraddistinguendo il suo spirito patriottico teso all’unitarismo. Un’emorragia di rivendicazioni come quelle che infervorarono l’animo di una Coffa vessata sia dalle oppressioni del marito che dai pregiudizi del suocero. Un’emorragia, o meglio detta “Metrorragia”, come quella che condusse Mariannina Coffa alla morte.

La parola chiave del convegno intitolato “Giarre-Noto, Insieme in poesia” e svoltosi all’interno della sala “Messina” di Giarre, sembra dunque essere proprio “Emorragia”, poiché l’emorragia che determinò la morte della Coffa, assurge a metafora del desiderio della poetessa netina di sprigionare liberamente quei suoi aneliti spesso soffocati dall’antropocentrica mentalità del tempo. Non per un caso, il decesso della poetessa “Maledetta”si sostanziò in una perdita di sangue: ovvero di quel fluido che, con la sua colorazione rossa, assurge a simbolo di impetuose pulsioni. Forse, il suo corpo mortale non poteva più contenere quel tracimante ribollire di aneliti della poetessa, poiché essi erano costantemente soggetti ai condizionamenti del tempo.

Chiusa questa parentesi, Giarre e Noto si sono abbracciate idealmente riannodando i fili di quell’amorosa empatia che hanno sperimentato attraverso i loro rispettivi poeti: Giuseppe Macherione  e Mariannina Coffa. La riscoperta del patrimonio di scritti lasciato dai due letterati ai posteri, ha consentito alle due città di riavvicinarsi e di rinfocolare quell’alchimia sbocciata tra il letterato giarrese Macherione e la poetessa netina Mariannina Coffa. È come se, in virtù del tributo ricevuto dalle loro rispettive città, Giuseppe Macherione e Mariannina Coffa fossero tornati in vita nella sala “Messina” per raccontare il loro status interiore in un’epoca di grandi cambiamenti come quella scandita da lotte risorgimentali che determinarono la formazione di uno Stato unitario.

Il convegno, promosso dall’assessore alle pari opportunità del comune di Giarre dott.ssa Piera Bonaccorsi e patrocinato non solo dalla società Giarrese di Storia Patria e Cultura ma anche dall’associazione ex alunni e amici dell’Amari così come dalla Fidapa di Giarre e Riposto e dalla Fidapa di Fiumefreddo di Sicilia, è stato scandito da un’apertura dei lavori appannaggio del vicesindaco di Giarre Salvo Patanè, il quale ha lasciato intendere che la sinergia tra due Comuni (Giarre e Noto) in nome di un nobile ideale come la cultura possa generare progetti in grado di conferire vivacità di taglio intellettuale al territorio che sperimenta tali fermenti.

Successivamente all’intervento del vicesindaco, Maria Gabriella Leonardi, giornalista e moderatrice dell’incontro, ha introdotto la dissertazione di Paolo Patanè, avvocato e presidente del Comitato esecutivo  del bicentenario del Comune di Giarre. Egli ha evidenziato che la storia spesso intercetta delle vite e le elegge a simbolo di un determinato periodo, o di un tema o di una circostanza. Inoltre Paolo Patanè ha sottolineato come la storia, nel suo progredire insondabile, pur caratterizzandosi per eventi violenti, possa determinare l’intersezione dei percorsi di due realtà territoriali. Nel caso specifico, il terremoto verificatosi nella Val di Noto nel 1693, comportò l’esodo di diversi netini ed in generale di diversi componenti della popolazione del sud della Sicilia verso la Contea di Mascali (sebbene essa non fosse stata risparmiata dal sisma, se si considera che il terremoto condannò Mascali alla semidistruzione). Soffermandosi poi sull’intenso rapporto epistolare tra la poetessa netina Mariannina Coffa ed il poeta giarrese Giuseppe Macherione, l’avvocato Patanè ha specificato come sia la Coffa che Macherione avessero interiorizzato la tendenza dei greci ad effettuare un distinguo tra “Zoè” e “Bios” e dunque tra il semplice fatto di vivere o meglio di sopravvivere e la vocazione a vivere una vita qualificata. I due letterati infatti si incontravano epistolarmente nel tentativo di dare un senso alla loro vita. La dimensione della poetessa netina Coffa, secondo Patanè, fu sacrificata ma la sua figura simboleggiò anche una dimensione femminile che ha strascichi ancora oggi.  Pertanto, Patanè ha sottolineato come il genio, anche se è costretto nel guscio di una noce, può comunque lasciare un’impronta indelebile. Egli inoltre ha esplicitato come dalle lettere della Coffa emerga il suo desiderio di viaggiare e che il rapporto epistolare tra Giuseppe Macherione e Mariannina Coffa fu una storia di corrispondenza di emozioni. Essi infatti non sono soltanto la loro poesia ma un pezzo della storia d’Italia. Patanè inoltre ha rimarcato quanto contribuì alla loro intesa epistolare l’esser nati quasi nello stesso anno e dunque nello stesso periodo (Giuseppe Macherione nacque infatti nel 1840 mentre Mariannina Coffa nel 1841). Inoltre entrambi hanno attraversato una vita molto veloce e finita molto presto, così come entrambi hanno vissuto all’insegna dell’inseguimento della propria dimensione. Per quanto concerne Macherione, visse poco, poiché morto di tisi all’età di soli 21 anni, ma scrisse la sua storia. Mariannina visse anch’essa poco, sebbene, rispetto a Macherione, concluse la sua esistenza all’età di 36 anni. Tuttavia anche lei scrisse la sua vita, pur essendo stata condizionata da una realtà che la comprimeva. In ogni caso, il comune denominatore del poeta giarrese Macherione e della poetessa netina Mariannina Coffa è la loro tendenza a rivendicare il diritto all’autobiografia.

L’assessore alle pari opportunità Piera Bonaccorsi, dopo gli interventi di Gabriella Correnti e Mariarosa Tedesco, rispettivamente presidenti della Fidapa di Fiumefreddo e di Giarre-Riposto, ha iniziato a soddisfare la curiosità delle predette. L’assessore ha infatti asserito che il poeta Macherione rientra tra le glorie più illustri del nostro campanile. Non a caso a lui fu intitolata una scuola media giarrese e non a caso il poeta fu oggetto di studi e scritti da parte del preside Francesco Sciacca. La dott.ssa Bonaccorsi ha poi svelato l’arcano relativamente al presunto amore tra Macherione e la poetessa “Maledetta” (Mariannina Coffa) confermando che tra i due maturò un amore platonico. Ciò che però accomunò i due letterati e che cementò questa loro intesa epistolare fu l’amore patriottico. Precisato ciò, la dott.ssa Bonaccorsi ha esplicitato che anche Mariannina Coffa conobbe la gloria dell’intitolazione di un frammento di città di Giarre. In particolare, nella cittadina Jonica le fu intitolata una strada. La dott.ssa Bonaccorsi si è poi addentrata nei meandri dell’esistenza della poetessa netina, specificando che si innamorò del drammaturgo e suo precettore di musica Ascenso mauceri. Tuttavia, i genitori , ed in particolare il padre, maltollerarono questo fidanzamento tra lei ed il suo precettore, per poi opporsi drasticamente a questo loro idillio. La donna infatti fu data in sposa a 18 anni ad un ricco proprietario terriero ragusano di nome Giorgio Morana. Il marito la portò a vivere a casa del suocero, e dunque del padre di lui, e lì la poetessa fu vittima di dinamiche discriminatorie che la costringevano a scrivere di nascosto ed in particolare durante la notte, usufruendo della luce di una candela. Il suocero infatti riteneva che una donna che scrive è disonesta. La conseguenza di questa sua repulsione verso la propensione della nuora alla scrittura, fu anche il vigile controllo della posta destinatale, che veniva prontamente da lui aperta e distrutta. La dott.ssa Bonaccorsi ha poi precisato che determinante fu per la poetessa la conoscenza dell’omeopata e magnetista Giuseppe Migneco, alle cui cure essa si affidò attraverso pratiche come per esempio il sonnambulismo. Stanca delle vessazioni a cui la sottoponevano il marito ed il suocero, essa si trasferì a Noto, dove però i genitori non le concessero ospitalità, avendo lei disonorato la famiglia con l’abbandono del marito. Determinante nella cura delle sue metrorragie fu il medico omeopata Lucio Bonfanti, referente del Migneco (molto vicino al ministro Raeli, che fu l’estensore della legge delle guarentigie finalizzata alla regolamentazione del rapporto tra Regno d’Italia e Santa Sede). La poetessa infatti non accettava la medicina tradizionale ma quella omeopatica, grazie alla quale espulse il globulo e dunque il fibroma. Pur di non vivere insieme al marito dunque, la donna aveva deciso di abbandonare Ragusa e di distaccarsi dai figli che però chiedeva di vedere. Malgrado l’espulsione del globulo comunque, la donna necessitava di un intervento chirurgico per tagliare il peduncolo che legava il globulo all’utero. I genitori di lei si rifiutarono però di spendere 100 lire ai fini dell’erogazione della prestazione medica da parte di un chirurgo di Catania. La donna, ostaggio dei pregiudizi, sociali morì dunque dissanguata. A nulla servì l’arrivo di un chirurgo di Noto. Le metrorragie avevano determinato la morte della poetessa “Maledetta”.

Al termine dell’illustrazione della vita della vita della poetessa ad opera della dott.ssa Bonaccorsi, ha preso la parola il vicesindaco di Noto Cettina Raudino la quale ha evidenziato la bellezza di ritrovarsi in un ambiente che condivide un palpito. Dunque il vicesindaco netino ha sottolineato i miracoli della storia, in quanto quest’ultima ha permesso che l’empatia letteraria tra Macherione e Mariannina Coffa sancisse, a distanza di più di un secolo e mezzo dalla corrispondenza tra i due, il gemellaggio culturale tra Giarre e Noto.  Il vicesindaco di Noto ha evidenziato di essersi impegnata all’ascolto della “voce” di Mariannina Coffa: ovvero di una creatura carismatica e magnetica. La Raudino, a proposito delle battaglie della poetessa Coffa contro le discriminazioni di cui fu vittima, ha specificato che le donne devono mutuare dal suo percorso il suo essere “Donna in cammino” che ha lottato contro il conformismo e i condizionamenti. Ciò che caratterizzò Mariannina Coffa, soprattutto alla luce della sua decisione di lasciare Ragusa e dunque il marito, fu la sua volontà di determinare il suo destino. Inoltre il vicesindaco di Noto ha sottolineato l’attualità del dramma vissuto dalla Coffa, poiché la determinazione femminile in materia di contrasto a logiche di stampo maschilista, conosce ancora oggi ostacoli. Ancora oggi infatti persiste la sopraffazione psicologica la quale si traduce in un malinteso amore. Dunque secondo Cettina Raudino, Mariannina Coffa può assurgere a icona e quindi archetipo di contrasto alla violenza di genere. La Raudino ha asserito che della poetessa netina si ricordano non soltanto il dolore ma anche l’energia e la forza, così come il riscatto e la libertà che lei insegue. Il vicesindaco di Noto si è inoltre soffermata sugli aspetti dell’originalità di questa donna, formatasi all’Accademia Arcadica dei “Trasformati” di Noto, poiché essa si distinse per quella natura esoterica che la spinse ad interessarsi di magnetismo e mesmerismo (ovvero della pratica fondata dal medico Mesmer e basata sul concetto secondo cui il corpo è attraversato da un fluido che deve essere in armonia con quello universale). Mariannina Coffa dunque, è stata al centro di innovazioni grazie alla sua vivacità culturale. La sua biografia coagula infatti emozioni, pensieri e azioni. La Raudino, parlando della poetessa, ha specificato che è stato approntato un progetto che prevede un itinerario narrato a Noto. Il vicesindaco di Noto ha inoltre esplicitato che sono state già pubblicate le lettere scritte dalla Coffa al suo precettore di musica Ascenso. Prima di chiudere il suo intervento, la Raudino ha evidenziato la necessità di unire storie e individui. Successivamente, l’assessore Bonaccorsi ha premiato il vicesindaco di Noto con una targa. Dopo, hanno avuto inizio le “performance” dei ragazzi del liceo di “Scienze Umane” di Riposto, coordinati dalla docente Angela La Spina. Alessandro Sessa, Michela Cipolla e Jessica Finocchiaro hanno letto interessanti scritti dei due poeti (Machierone e Mariannina Coffa). Diversamente, Rosaria Lizzio e Fabio Di Vincenzo, interpretando rispettivamente i ruoli di Mariannina Coffa e Giuseppe Macherione, hanno letto i contenuti delle lettere che i due poeti si scambiavano. Dalle loro lettura è emerso che per Mariannina Coffa, Macherione scintillava di genio. La poetessa vedeva inoltre in Giuseppe Macherione tanta purezza. Tuttavia riteneva di non meritare le sue parole di elogio. Mariannina Coffa comunque invitava Macherione ad onorare la patria con il suo canto. Nel 1856, Mariannina Coffa attirava particolarmente le attenzioni di Giuseppe Macherione. Tanto che lei aveva pubblicato un libretto di poesie e lui ricambiò inviandole le sue liriche. Macherione la chiamava “Anima mia” mentre la “Coffa” lo chiamava “Giovinetto mio”. Tuttavia la Coffa doveva costantemente fare i conti con il suocero, il quale era solito esaminare le sue lettere. L’entusiasmo di Macherione per la Coffa però scemò per via della relazione di lei con Ascenso Mauceri. Intanto però lei invitò Macherione ad onorare la patria terra con l’arte. Nel 1859 Macherione recensì i canti di una Coffa che, chiusa nel silenzio delle domestiche pareti, cercava di dare maggiore respiro al suo io. Diventa inevitabile così accostare la Coffa alla poetessa (anch’essa dalla vita breve) Giuseppina Turrisi Colonna. Singolare l’invito che Macherione rivolse alla Coffa affinchè studiasse autori come Dante Alighieri e Ludovico Ariosto. La morte di Macherione a Torino rattristò molto Mariannina Coffa la quale comprese che più ci si incammina nel sentiero della vita e maggiore diventa il dolore che essa procura, come se fosse una spina via via sempre più pungente. Il prosieguo della sua esistenza fu sempre più contrassegnato da pensieri tormentosi. La  Coffa era disgustata da un mondo cruento ma la sua vita malgrado tutto scorreva senza rancori. La poetessa vide da vicino la malvagità e pensò che le afflizioni segnano il cammino. Tuttavia la poetessa netina realizzò anche che la rassegnazione purifica le passioni e santifica l’anima, sebbene lei fosse cosciente che il cuore si scoraggia con i tradimenti, abbandonandosi allo sdegno. Successivamente è arrivato il momento dell’intermezzo musicale a cura del soprano Daniela La Rosa, la quale, nel corso del convegno, ha intonato due brani: uno dal titolo “Mercè, dilette amiche” e tratto da “I vespri siciliani” (Giuseppe Verdi) mentre l’altra esecuzione è stata dedicata al “Va’ Pensiero” (Giuseppe Verdi).

Successivamente è intervenuto il presidente della “Società di Storia Patria e Cultura” di Giarre Nicolò Mineo. Il prof. Mineo ha sottolineato subito che lo stile dei due letterati e dunque il loro “Periodare”, oltre che la deferenza che contraddistingue la loro interazione epistolare, è di livello così elevato che è praticamente impossibile effettuare dei raffronti con gli scritti moderni.  Il prof. Mineo ha evidenziato la vicinanza tra i due sotto il profilo delle tematiche trattate e della condizione di vita, sebbene Mariannina Coffa versasse in una condizione più grave poiché essa pagava il prezzo non solo di essere donna ma anche di essere vittima della difficile realtà locale. A proposito di Macherione, Mineo ha asserito che i suoi lavori andrebbero ripubblicati, poiché l’editore di allora ha tagliato e modificato i manoscritti. Mineo poi ha elogiato il testo “Voglio il mio cielo”, realizzato dalla prof.ssa Marinella Fiume in sinergia con Biagio Iacono. In esso la prof.ssa Fiume si è soffermata sulle lettere della poetessa Coffa all’indirizzo del proprio precettore (Ascenso Mauceri), dei familiari e degli amici. Secondo Mineo comunque, se Macherione fosse vissuto avrebbe avuto un futuro come giornalista politico poiché, grazie al suo acume, prefigurava già la realtà del 1860-1861. Mineo ha poi sottolineato che la burocrazia di Palermo secondo lui non rappresentava la città. Nelle considerazioni di Macherione emergeva dunque l’amarezza per una Palermo che da quando non era più capitale del Regno delle Due Sicilie, aveva perso la sua consistenza. Non per un caso, già nel 1848 era esplosa una rivolta seguita poi dalla rivolta della Gancia, ascrivibile al 1860, proprio perché Palermo era stata spogliata del suo ruolo. Per quanto concerne la poetessa Coffa, Mineo ha sottolineato che la seconda parte del suo lavoro, rappresenta una grande produzione culturale Negli anni 70’ dell’800 si affermò il realismo. Pertanto l’emozionalismo è soppiantato. Il romanzo infatti soppianta la poetica. L’unica eccezione in tal senso fu rappresentata da Giosuè Carducci. Il discorso filosofico dunque, chiusa la parentesi leoperadiana, stava per finire. La Coffa comunque trovò nell’ideologia mesmeristica spiritualista e nel pensiero di Mesmer, creatore di una medicina che racchiudeva i prodromi della psicanalisi, un aggancio ed un appiglio di speranza. Il suo sogno d’amore poi sgretolatosi, relativamente alla relazione con Ascenso Mauceri, si ricompattò in una corrispondenza spirituale e metafisica, al fine di compensare le delusioni.

Successivamente è intervenuta Giuseppina Calvo, responsabile dell’archivio di Stato di Noto. Essa ha evidenziato il certosino lavoro svolto insieme alla professoressa Fiume in funzione della trascrizione dell’epistolario relativo alla produzione della Coffa. Successivamente ha preso la parola Maria Lucia Riccioli, la quale ha sposato la teoria secondo cui esistono dei “Genius Loci” che rappresentano le città come nel caso di Macherione per Giarre e Mariannina Coffa per Noto. Maria Lucia Riccioli ha evidenziato anche che la Coffa ha studiato a Siracusa presso il collegio della medesima città. Inoltre ha espresso l’augurio che Giarre e Siracusa possano conoscere anch’esse una sinergia culturale.

Secondo il professore Carmelo Torrisi invece, Macherione assurge ad esemplare figura di poeta della patria e poeta lirico. Non per un caso, nei suoi scritti invitava i giovani patrioti a seguire Garibaldi. Non per un caso, Camillo Benso Conte di Cavour lo definì “Peppino il siciliano”.Torrisi ha poi evidenziato che di Macherione, autore di un dramma non noto, andrebbe conosciuta la sua propensione alla poesia lirica. Senza esitazioni, il professore Torrisi ha affermato che Macherione fu innamorato di Mariannina Coffa ma ha specificato anche che egli fece un passo indietro quando seppe che lei si fidanzò. Giuseppe Macherione comunque, secondo Carmelo Torrisi, vedeva la prima poetessa in Giuseppina Turrisi Colonna. Inoltre Torrisi ha aggiunto che forse, se Macherione e la Coffa si fossero messi insieme, si sarebbero accapigliati.

La professoressa Fiume ha poi esplicitato che in età più matura la Coffa si unì ai circoli dei perdenti. In particolare, essa entrò a contatto con circoli massonici che non sono del liberalismo trionfale. I circoli alternativi a quelli vincenti erano i circoli democratici, mazziniani e di chi contesta la legge delle guarentigie.  In lei vi fu consapevole pacifismo e inoltre essa si distinse per l’adesione al socialismo utopistico. Con il passare degli anni la sua critica alla società divenne molto più cosciente e molto più matura sotto il profilo filosofico. La Coffa riuscì ad avere relazioni intellettuali a livello internazionale e riceveva tutti i giorni periodici. La Coffa inoltre, anche per via del suo ingresso nella loggia elorina favorito dalla conoscenza del dott. Bonfanti, fu l’unica che espresse un contenuto di tipo esoterico con una filosofia molto complessa. La Colonna e la Coffa furono comunque antesignane dell’emancipazione femminile. Gli aneliti di libertà e l’autenticità dei sentimenti della Coffa furono però anche legati per lei alla disgrazia di essere prigioniera della borghesia. Ascenso le propose la “fuitina” ma lei rifiutò. Fatta eccezione per questo episodio che conferma la natura non fedifraga della Coffa, Mariannina, lasciando il marito, smise di fare quello che volevano i suoi familiari. Stava per morire e davanti alla vita non vi è compromesso che tenga. Pertanto si curò come diceva lei, attingendo alle cure omeopatiche del Bonfanti a Noto, dove si trasferì. Mariannina comunque durante la sua vita assurse ad uno dei simboli dell’apertura verso il mondo e la modernità. Essa fu testimone di una Sicilia tutt’altro che periferica. Nel 1863 a Vittoria vi era per esempio un ospedale omeopatico e inoltre i borboni avevano aperto un indirizzo universitario di omeopatia a Palermo. Motivo di grande amarezza per la Coffa fu la distruzione nella pubblica piazza di Augusta di una straordinaria opera di omeopatia e magnetismo del dott. Migneco. Grazie comunque a Mesmer ed ai francesi che portarono a Napoli l’omeopatia attraverso gli ammiragli, la Coffa potè attingere ad un tipo di medicina che anticipava la psicanalisi. Inoltre grazie al sonnambulismo, curò l’isteria femminile. Alla fine comunque la Coffa morì abbandonata e vivendo di stenti. Una donna piena di vitalità, capace anche di cucire e di assolvere a tutte le incombenze domestiche, morì sola. In compenso, sebbene i familiari l’avessero denigrata a Noto, non solo il Comune di Noto provvedette alle spese per i suoi funerali, ma tutta la città estrinsecò sinceri atteggiamenti improntati al lutto.

Il convegno poi è stato completato dalla mostra di Vernissage a cura di Evelina Larzio, la quale a 20 anni affrontò la sfida del ritratto per poi avvicinarsi a tecniche artistiche che prevedono l’uso di acquarelli, pastelli ad olio e gessetti. L’avvocatessa Evelina Larzio ama dunque dipingere e disegnare sui cartoncini colorati. Al termine del convegno l’assessore Bonaccorsi ha rilasciato la sua dichiarazione “Ho scelto la Coffa come personaggio da illustrare, non solo per il suo rapporto epistolare con un illustre poeta come il giarrese Giuseppe Macherione, ma anche per il suo vissuto di donna discriminata e affetta da una patologia che rientra nel mio campo di competenze. Per quanto concerne le cure omeopatiche, sebbene non appartengano alla mia formazione medico chirurgica, ritengo che comunque l’omeopatia, che consiste nella somministrazione della stessa causa della patologia a dosi crescenti, non sia da stigmatizzare”.

Umberto Trovato

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