Sabato 31 maggio, si è tenuta, a Sant’Alfio, un’interessante conferenza del prof. Antonino Alibrandi, sul tema “Il Castagno dei Cento Cavalli fra Storia e Leggenda”, fortemente voluta dall’assessore alla Pubblica istruzione, alle Politiche per la famiglia e per le politiche sociali, prof.ssa Benedetta D’Amico.
Davanti ad un pubblico motivato e interessato (nel quale, hanno ricevuto spicco l’intervento del Preside del Liceo classico di Giarre, prof. Giovanni Lutri, e quello, sulla “purea castanea” alle origini leggendarie del Castagno, della cittadina onoraria prof.ssa Sebastiana, detta Nellina, Ardizzone, reduce dall’aver pubblicato, per Aletti Editore, una bella e originale raccolta di liriche titolata “Paesaggi della natura e dell’animo”) alla presenza del Sindaco, dott. Alfio La Spina, e dell’assessore all’Urbanistica, ing. Annalisa Greco, il prof. Alibrandi ha ricordato, innanzitutto, che il Crea ha stabilito, nel 2022, essere il Castagno di 2200 anni di età e che questo è stato inserito, dal “Corpo forestale dello Stato” nel “patrimonio italiano dei monumenti verdi”, ed è stato eletto, nel 2021, “albero italiano dell’anno”; indi, ha affermato essere stato quell’albero mai citato in epoca romana e né durante il Medioevo; al che, ha indicato come il Castagno abbia avuto o meno citazione fra gli autori ad esso più interessati, relativamente ai secoli XVI e XVII, Filoteo degli Omodei, Leonardo Orlandini (con il ricordo della visita, di fine Cinquecento, a quel Castagno, di monsignor Giovanni Corionero, Vescovo di Catania), Pietro Carrera, e in relazione al secolo XVIII, Giuseppe Recupero, Johann Hermann von Riedesel, Patrick Brydone, e fra XVIII e XIX secolo l’abate Francesco Ferrara, e relativamente al XIX secolo, Agatino Recupero.
Quindi, ha dibattuto della famosa leggenda che lega una tal regina Giovanna al Castagno dei Cento Cavalli, smentendo la soluzione data, nel 1974, in “Leggende di Sicilia”, da parte dello stimatissimo prof. Santi Correnti e da molti sempre acriticamente riportata. Riportiamo, in merito, qui di seguito, le parole del prof. Antonino Alibrandi, ricavandole da quanto egli ha scritto, in merito, nel suo “Mascali e il suo territorio – La Storia – Dai Bizantini a Carlo III di Borbone (535-1759)”, alle pagine 144-146 (omettendone, ovviamente le ricche note bibliografiche, che possono essere ricavate, dal lettore, nel testo originale dell’Alibrandi):
Notissima la leggenda che ha per protagonista il Castagno dei Cento Cavalli, allora nel territorio di Mascali, oggi in quello di Sant’Alfio.
Si narra di una certa regina Giovanna, dissoluta e senza freni, che, col suo seguito di cento cavalieri, in un imprecisato medievale giorno, si riparò sotto le ampie fronde del Castagno (alcuni sostengono dopo una battuta di caccia e quindi al seguito vi sarebbero state anche dame, altri perché semplicemente era in viaggio da quelle parti); la depravata sovrana vi trascorse la notte, giacendo, in eros, con i (si racconta, tutti) suoi cavalieri (e, in una variante del racconto, da me sempre raccolta, nel suo tramandarsi per oralità per le mie parti, ella ebbe a giacere anche con le cavalcature, pronunciando la famosa frase, “Stanca sì, ma sazia mai!”). Il catanese dialettale poeta Giuseppe Borrello ebbe ricordare, nel 1855, il Castagno “…ca ccu li rami so’ forma un paracqua/ sutta di cui si riparò di l’acqua,/ di fùrmini, e saitti/ la riggina Giuvanna/ cu centu cavaleri,/ quannu ppi visitari Mungibeddu/ vinni surprisa di lu timpurali…”. È da dire che prima di questa citazione di Borrello, della leggenda non troviamo menzione per i secoli precedenti; né Filoteo nel Cinquecento e né Carrera nel Seicento, come vedremo, pur interessandosi particolarmente del Castagno, ne avevano fatto cenno; il che ci fa supporre che sia stata invenzione almeno del XVIII secolo se non proprio del XIX. Quindi, il catanese Giuseppe Villaroel ebbe, poi, a poetare, in un sonetto del 1920, “Dal tronco, enorme torre millenaria,/ i verdi rami in folli ondeggiamenti,/ sotto l’amplesso quèrulo dei venti,/ svettano ne l’ampiezza alta de l’aria….”, in cui quell’ “amplesso quèrulo dei venti” sembra alludere alla faticosa notte d’amore della regina; il nostro, macchiese, Carlo Parisi scrisse, nel 1924, ricordando invece i tre santi martiri Alfio e Filadelfo e Cirino, “È sera dolce: al fresco di rugiada/ ora prendon beltà le vigne in fiore,/ ora ne’ trebbi della lenta strada,/ co’ cavalieri delle tue convalli/ dormono i tre fratelli del Signore/ sotto il castagno dei cento cavalli.”.
Il prof. Santi Correnti ha individuato, in questa regina, Giovanna I d’Angiò (1343-1381), regina di Napoli, dichiarando (in maniera infondata) che “fu celebre per le sue dissolutezze” e sottolineando, comunque, che ella non fu mai in Sicilia. La lezione del prof. Correnti è stata sempre acriticamente accettata e riportata da altri autori e per vari siti e pamphlet e in questi ultimi con l’aggiunta, in alternativa a quella sovrana angioina, delle altrettanto improbabili Isabella d’Inghilterra (1235-1241), imperatrice e terza moglie di Federico II di Svevia, e di Giovanna d’Aragona (1477-1494). Risulta a noi, invece, evidente che la regina che deve essere legata a questa leggenda non può essere che Giovanna II d’Angiò (1414-1435), anch’ella regina di Napoli, detta “la lussuriosa”, “la pazza”, “la dissoluta”, “l’insaziabile” e, appunto non casualmente, “dai cento amanti”, rinomatissima, anche nell’oralità popolare, come rotta ad ogni “vizio erotico” (leggenda vuole che, spesso, dopo essersi accoppiata con i suoi amanti, di ogni ceto sociale, li facesse morire, precipitandoli nel vuoto di voragini appositamente create nel suo reale palazzo) e, secondo molti, è lei colei che è rappresentata, mentre accarezza un cavallo, in questo caso da lei amato (dopo l’amplesso, secondo sempre la leggenda, avrebbe proferito proprio quella frase, sopra riportata, sulla sua stanchezza e insaziabilità), nella cosiddetta “Fontana della Vergogna” in Piazza Pretoria a Palermo. Giovanna II, al contrario di Giovanna I, potrebbe essere stata in Sicilia, negli anni del regno di Alfonso V, I di Sicilia (1416-1458), poiché di questo sovrano fu decisamente alleata.
Gabriele Garufi