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Le storture della Catania bene

Le storture della Catania bene

Un profondo dibattito sui tratti “somatici” della mafia catanese e sulle trasformazioni che il fenomeno mafioso ha subìto in generale, dopo aver mutuato le peculiarità del modello criminale locale. E’ stata questa la tematica affrontata nell’ambito della conferenza organizzata dalla “Società Giarrese di Storia Patria e Cultura” e promossa dall’assessore alle Pari Opportunità del Comune di Giarre dottoressa Piera Bonaccorsi. La dissertazione sulla predetta questione è stata però snocciolata da una illustre figura del mondo della magistratura: Sebastiano Ardita.

Rievocando i contenuti del suo volume intitolato “Catania Bene”,imperniato sulla riproposizione di fatti di mafia che abbracciano anche gli anni 80’,Ardita, magistrato che ha riportato alla luce nella sua opera anche quel blitz antimafia il quale nell’85’ azzerò la città di Catania, ha trascinato il pubblico della “Sala Romeo” ascrivibile al Palazzo delle Culture, in un viaggio nei meandri dell’universo catanese, dove un intreccio di ceti abbienti, istituzioni, alta finanza e mafia si è radicato all’interno del tessuto sociale cittadino a tal punto da costituire un imprescindibile ingranaggio dello stesso.

A moderare l’incontro è stata l’avvocatessa Stefania Patti, mentre a presentare la conferenza è stato il professore e Presidente della “Società giarrese di Storia Patria e Cultura” Nicolò Mineo. Gli interventi dei relatori sono stati però preceduti dalla partecipazione del sindaco Roberto Bonaccorsi al dibattito, con una considerazione propedeutica all’inizio delle disquisizioni. Il sindaco, in quanto commercialista, ha specificato che nel mondo odierno si è compresa l’imprescindibilità dello studio delle strategie funzionali all’obiettivo di inserirsi nel sistema economico al fine di dominare il mercato . Questa osservazione ha trovato degli agganci con le argomentazioni sviluppate dal magistrato Ardita in merito alle infiltrazioni mafiose nel mondo dell’imprenditoria.

L’inizio dei lavori è stato preceduto da una performance del chitarrista Mario Scionti, del chitarrista e interprete Piero Romano e dell’artista Alessandra Cardia, i quali hanno musicato e interpretato la poesia di Marinella Fiume intitolata “Catania Bene”. Il brano, che si ispira ai contenuti del volume di Ardita, evidenza i disvalori di una Catania che scendendo a compromessi con la mafia, ha avallato un sistema in cui le istituzioni e la mafia si tutelano a vicenda. La dottoressa Fiume ha messo a fuoco una realtà che vede la mafia vantare degli scranni o delle rappresentanze nei potentati finanziari e politici. La Fiume dunque, ispirandosi ai contenuti del volume di Ardita, ha evidenziato questo occulto accordo tra la mafia ed il potere, funzionale all’obiettivo di debellare fenomeni come la manifestazione di delitti efferati. Non percependo la violenza nelle strade, la cittadinanza infatti vive nella fallace convinzione che la mafia, in quanto impalpabile, sia una realtà evanescente o comunque non così minacciosa.

La dottoressa Fiume però, nella parte conclusiva della poesia-canzone ha individuato tracce di redenzione nella città di Catania, attribuendole un desiderio di libertà che si intreccia anche con l’esigenza di una buona fetta del popolo catanese di rivelare certi retroscena alla base del consolidamento del sistema mafioso. Significativo il passaggio riservato alla crisi,della quale la mafia si serve per convincere il popolo ad accettare anche le forme di impiego più eticamente miserevoli. L’assessore alle Pari Opportunità Piera Bonaccorsi, la quale si è soffermata sulla sacralità del ruolo della giustizia in una terra martoriata dalla corruzione, ha invece presentato la dottoressa Fulvia Toscano, Presidente di “Naxoslegge” e promotrice di una importante realtà come il festival delle narrazione.

La dottoressa Toscano ha spiegato che tale festival è stato lanciato non solo per raccontare la complessità del reale ma anche per trattare il tema delle donne che non perdono il filo. Pertanto la dottoressa Toscano ha sottolineato quanto sia imprescindibile accendere i riflettori sulle donne che si occupano di scrittura e che in particolare trattano tematiche le quali legano le donne stesse alla legalità. Non per un caso, come ha specificato la dottoressa Fulvia Toscano, il premio “La tela di Penelope” è un riconoscimento dedicato alle donne che combattono contro le mafie e che hanno compreso che la forma metamorfica delle mafie assume connotati diversi. Tra di esse vi è l’onorevole Angela Napoli, la quale, in qualità di membro della commissione parlamentare antimafia, ha sostenuto delle nobili battaglie contro la criminalità organizzata.

Inevitabile poi è stata la connessione effettuata dai relatori con l’universo femminile. Essendosi maggiormente affrancate da vetusti schemi antropocentrici e quindi emancipate rispetto al passato, le donne che rivestono il ruolo di madri e di docenti, o che rappresentano le istituzioni, possono infatti combattere la mafia nel tessuto sociale poiché finalmente occupano delle posizioni che consentono loro di reggere la legalità. La dottoressa Anna Castiglione, presidente della Fidapa, a tal proposito, ha effettuato un distinguo tra la mafia dei Corleone e quella dei catanesi. Mentre la rozza mafia corleonese nasce dalla povertà e ha sin dagli inizi imperniato il suo “modus operandi” sulla ribellione nei confronti dello Stato, la mafia catanese si distingue in quanto cerca di insinuarsi nello Stato.

L’opera del magistrato Ardita, secondo la dottoressa Castiglione, assume connotati didascalici. Leggendo il volume si ha dunque la sensazione che l’autore stia raccontando una storia. Nel volume si parla, tra le varie trattazioni affrontate, della strage del casello di San Gregorio e dell’uccisione della moglie del boss catanese Nitto Santapaola. La dottoressa Castiglione ha rimarcato che Ardita nel suo volume ha cercato di raccontare i fatti in modo neutrale. Ardita, ha inoltre immortalato un difficile periodo della sua vita:ovvero quello in cui, giovanissimo, divenne sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Catania. Nel capitolo “Il riscatto”, Ardita parla infatti del periodo vissuto nella procura di Catania. In riferimento a ciò, emerge una regola non scritta ma diffusa tra i sostituti procuratori.

La parola d’ordine era infatti quella non mischiarsi nella Catania bene. Pertanto, essi dovevano evitare di frequentare luoghi nei quali bazzicasse l’alta borghesia, in quanto gli eventi o i salotti che avrebbero accolto la borghesia, sarebbero stati sicuramente contrassegnati dalla partecipazione di rappresentanti degli interessi della malavita. Dunque i sostituti procuratori hanno improntato il loro stile di vita a tale legge non scritta, vivendo una forma di isolamento. E’ stato inoltre evidenziato che il volume “Catania bene” sia maschilista in quanto non parla delle donne. In realtà, non è esattamente così. Nel volume viene raccontata anche la storia, risalente al 1993, di un ragazzino di Santa Maria di Licodia ucciso dalla mafia. Egli espletava una mansione volontaristica per conto degli anziani in un oratorio parrocchiale.

Il giovane Fabio Garofalo si trovava all’interno di una sala giochi. Il killer raggiunse la sala giochi con l’obiettivo di eliminarne il titolare, ma colpì il figlio della stessa ed il giovane Fabio, uccidendolo. Ardita non può pertanto non citare la madre di Fabio, Concetta Garofalo, la quale ebbe il coraggio di rivelare di essere a conoscenza,grazie a degli informatori, del nome dell’assassino del figlio. Allora, secondo Ardita, fu singolare il modo in cui tutta la cittadinanza di Licodia si mise a disposizione della donna. Inoltre, al processo, senza alcun timore di ripercussioni, la famiglia accettò di rivelare quanto appreso sull’identità del killer. Nel corso della sua dissertazione, Ardita ha inoltre esaltato la figura del generale e prefetto di Palermo Dalla Chiesa, il quale scrisse alla Procura di Catania per conoscere le proprietà immobiliari dei cavalieri catanesi. Secondo la dottoressa Fiume, il volume è un paradosso, in quanto doveva essere composto da una figura sociale che manca: quella dell’intellettuale.

Invece a redigere il volume è un magistrato che occupa uno spazio vuoto nella società. In riferimento a ciò la dottoressa Marinella Fiume ha evidenziato che la condanna peggiore per i catanesi sia la mancanza di intellettuali. Essa ha specificato che ciò riguarda tutto il sistema Italia, il quale dopo Pier Paolo Pasolini, non ha trovato uno spazio orizzontale nel quale tutti potessero dirsi o denunciare il proprio stato di minorità. Ardita comunque mostra una spiccata anima da intellettuale. L’autore dell’opera poi è intervenuto asserendo che il suo lavoro si sostanzia in un duro attacco alla borghesia e ai suoi rappresentanti. Egli inoltre ha denunciato il comportamento di una politica che ha messo una pietra tombale sui fatti del 92’ e del 93’. Inevitabilmente egli ha espresso rabbia per le colpe attribuite all’antimafia in merito alla denuncia di alcune conversazioni tra le più alte cariche dello Stato, le quali rientrano nel filone della trattativa Stato-mafia.

Non per un caso, Ardita fu accusato di aver difeso due importanti personaggi del mondo della magistratura come Ingroia e Di Matteo. Ardita poi ha dichiarato di aver avuto rispetto verso una persona che ha inquisito e condannato:ovvero l’ex Presidente della Regione Rino Nicolosi. Quest’ultimo infatti, malgrado tutto, era vicino a istanze che intendevano rinnovare la politica. Tuttavia il suo tentativo di fare appello ai compagni politici fallì. Inoltre, Ardita ha lanciato un’invettiva contro i politici di oggi, i quali, a differenza di quelli di un tempo, che si preoccupavano dell’ “Ars” della “polis”,adesso sono tra i peggiori di noi. Il volume in sostanza consiste comunque nell’autobiografia di un magistrato ragazzino che, pieno di speranza, affronta un concorso vincendolo.

Nel suo volume, Ardita ha messo in risalto come gli attentati degli inizi degli anni 90’ lo avessero gettato nello sconforto. Ardita si formò nella Catania amata e odiata. Egli ha sempre guardato con afflizione i quartieri di San Berillo e San Cristoforo, osservando bambini appartenenti al sottoproletariato i quali spacciano droga e non vanno a scuola. Egli comunque non ha esitato a denunciare il degrado morale e politico della città, sferzando la paralisi dei cittadini. Poi Ardita si è lanciato in un “Focus” imperniato sul confronto tra la mafia palermitana (la più tremenda) e il modello vincente di mafia catanese, esportato ovunque e definito “2.0”.Tale modello si caratterizza per una strategia in ordine alla quale le istituzioni vanno fatte amiche e indebolite con un prodigarsi e rendersi utile che rientra nella logica della mafia catanese.

In sostanza, la mafia catanese prende le sembianze del potere a tal punto da trasformarsi. Ardita inoltre ha denunciato fenomeni come la complicità degli organi di informazione i quali spesso in passato hanno offerto, a proposito di alcuni omicidi, chiavi di lettura difformi dalla realtà interpretando dei delitti come accadimenti di natura passionale. L’autore del volume poi ha indicato quella che è la strada funzionale alla comprensione del fenomeno mafioso. Quando vengono aperti degli “Outlet” e non si comprende da dove sia provenuto il denaro per l’apertura di attività commerciali così poderose, allora quello è il segnale che dietro tali attività, da porre sotto sequestro, vi sia l’ombra della mafia. Ardita inoltre ha affrontato un’argomentazione di taglio etico rimarcando la sacralità del ruolo delle scuole, delle parrocchie e dei gruppi sportivi, i quali devono innanzitutto insegnare ai bambini non solo a non diventare delinquenti ma anche a non essere sudditi.

Il suo volume dunque non si prefigge l’obiettivo di insegnare agli altri la legalità, ma di spiegare l’illegalità. Ardita ha successivamente evidenziato come la mafia catanese sia permeata di maschilismo e dunque vocata ad una discriminazione sessuale che vede anche gli uomini della malavita solidarizzare tra loro e propugnare logiche di sopraffazione o di prevaricazione delle quali sono sempre vittime le donne. Il messaggio lanciato da Ardita è chiaro “La vera lezione di educazione civica consiste nell’insegnare agli altri che non bisogna vivere per il successo. Perché vivere per il successo significa vendersi e dunque sporcare la propria dignità in nome di disvalori i quali vanno a danneggiare l’esistenza altrui”. Intanto continua la presentazione del volume nell’hinterland etneo, riscuotendo un plebiscito di consensi.

Umberto Trovato

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