Dubitare è meglio che curare. L’ipocrisia trionfa a Giardini Naxos? -
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Dubitare è meglio che curare. L’ipocrisia trionfa a Giardini Naxos?

Dubitare è meglio che curare. L’ipocrisia trionfa a Giardini Naxos?

Un giornale come il nostro, per tradizione, visti i 35 anni di età, ha sempre avuto l’ambizione di divenire strumento di confronto e dibattito con i nostri “datori di lavoro” ovvero i lettori nel pieno rispetto delle diversità delle loro opinioni così come di quelle dei nostri collaboratori e spesso, fortunatamente, ci siamo riusciti.

È per questo che siamo ben contenti di pubblicare una nota che, più che una risposta ad un articolo del prof. Francesco Bottari (leggi l’articolo Giardini Naxos, il trasformismo trionfa), è un’ulteriore riflessione sulla realtà politica giardinese, diversa sicuramente, ma valida. Un’unica precisazione: è vero, purtroppo non è Giardini Naxos la patria del trasformismo politico ma soffre, anch’essa, come tantissime altre realtà, di questo “disturbo”. Di chi la colpa?

«Caro direttore, le invio questa succinta nota sul quadro politico della mia città, Giardini Naxos, in accordo con quanto il cuore mi detta dopo la lettura di alcune valutazioni inerenti l’argomento apparse sul suo sito web d’informazione gazzettinonline.it, nella convinzione che, in un pieno spirito di par condicio, sarà dato loro un equo spazio. Il momento storico che la collettività giardinese sta attraversando, come accade sovente in ogni periodo pre-elettorale, appare carico di tensioni, gravido di velate allusioni che giacciono tra il detto ed il non detto.

Sarà probabilmente per questo motivo che si leggono e si sentono spesso giudizi e valutazioni che ai miei occhi appaiono avventate e poco ponderate. Affermare, come ha fatto l’illustre professore Francesco Bottari (che per inciso ha tutta la mia stima), che Giardini Naxos sia la patria dei trasformisti come se fosse popolata da un esercito di Giolitti qualunque senza fare riferimento ad alcuna situazione specifica credo costituisca un torto nei confronti degli addetti ai lavori mosso fra l’altro con l’intenzione di chi desidera lanciare un sasso nello stagno per incresparne le placide acque salvo poi ritirar subito la mano che l’ha scagliato.

Non riesco inoltre a comprendere sulla base di quali elementi si possa supporre, come fa il professore, che “questa necessità di cambiamento però, sembra non esserci nel Dna dei cittadini giardinesi” senza che vi sia alcuna evidenza empirica disponibile a confortare tali ipotesi.

Da cittadino giardinese, appunto, noto invece che nelle ultime settimane si sta facendo a gara per salire in cattedra e distribuire questa o quella patente di onestà, integrità, coerenza e qualsiasi virtù ad esse associata o connessa. Ci sono forse troppi docenti e pochi alunni disposti con l’umiltà che dovrebbe caratterizzare il processo d’apprendimento a confrontarsi con un contesto, un panorama, assolutamente fosco e su cui continuano ad addensarsi le nubi di una pessima gestione amministrativa che ha caratterizzato il nostro comune negli ultimi anni.

Non è forse compito dell’intellettuale, qualifica che non fatico a riconoscere al professore Bottari e che non caratterizza certo chi scrive, il dispensare dubbi piuttosto che il distribuire certezze all’apparenza inossidabili e granitiche? È il dubbio sistemico, che non deve scivolare in uno sterile scetticismo generalizzato, che dovrebbe informare il pensiero dell’uomo saggio, l’invito a riflettere, il ripensamento come metodo di convivenza. Non è certo il sottoscritto che scriveva, poetando magistralmente, “Ah l’uomo che se ne va sicuro, (…), / e l’ombra sua non cura che la canicola / stampa sopra uno scalcinato muro!”, bensì quell’Eugenio Montale che ammoniva tutti i possessori di verità fittizie.

Diversamente da ciò il predicare da alte torri d’avorio potrebbe facilmente scivolare in vanesia ostentazione, lo strenuo manicheismo di chi vorrebbe a tutti i costi dividere buoni e cattivi in due fazioni distinte potrebbe trasformarsi in cupo settarismo, un certo moralismo di comodo, infine, potrebbe rapidamente mutare in irritante ipocrisia e fariseismo.

Fa bene, in conclusione del suo articolo, il professore a ricordare, rivendicare oserei dire, la facoltà di poter sbagliare. È il diritto di poter sbagliare, che va sempre rivendicato, a caratterizzarci come esseri umani. La fragilità, l’errore, la volubilità sono tutte condizioni inestricabilmente connesse al nostro essere umani. Non bisogna però, allo stesso modo, dimenticare il vecchio e saggio detto latino “errare humanum est, perseverare autem diabolicum”.

Possiamo soltanto augurarci che chiunque sia premiato dai cittadini non perseveri negli errori del passato e riesca a portare una ventata di aria fresca in un ambiente anestetizzato, schiacciato negli ultimi anni da un’inerzia pachidermica ricordando che, in definitiva, dubitare è meglio che curare».

dott. Giuseppe Leotta

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