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Operazione Scarface: al processo uno spaccato della dolce vita catanese

Operazione Scarface: al processo uno spaccato della dolce vita catanese

William Cerbo è un giovane catanese, brillante e intelligente. Ad un certo punto della vita, intraprende un percorso che lo conduce a costituire società di comodo per mettere a punto truffe a danni di terzi. William potrebbe scalare le montagne perché alle spalle c’è la sua famiglia, pronta a sostenerlo in ogni difficoltà: quando si trovò costretto a non intestarsi quote societarie, la sorella non lesinò aiuto mettendoci la faccia.

William Cerbo è un giovanotto che non passa inosservato, per via del suo modo di fare. Lui stesso ama definirsi “gradasso”, uno che non bada alle parole. Per i suoi affari gli è capitato di concludere la conversazione con un cliente con espressioni colorite – “ti apro come un melone” –, o di accompagnarsi ad una gestualità che faceva credere chissà che cosa. E poi niente, lui ha mai fatto niente. Il denaro, quello sì che lo sapeva fare, ma a modo suo. Ad esempio, con la Nicastro Costruzioni, con cui acquistava merce per l’edilizia – senza pagarla – e la rivendeva a prezzi allettanti.

Con quel fare da “simpatico gradasso”, William riesce ad attirare le attenzioni di Sebastiano (detto Nuccio) Mazzei, il figlio di Santo Mazzei capo dell’omonima organizzazione mafiosa. Nuccio per William vale un amico, infatti è di casa nella discoteca del padre, Francesco Ivano Cerbo. Tra Nuccio e William sono frequenti le telefonate, tutte intercettate dalla Procura di Catania; avvengono solo di sabato, quando tra amici si decide come fare bisboccia dopo una settimana di travagli vari. In nome dell’amicizia con Nuccio, William finisce per trovarsi in disaccordo con la famiglia. Con la mamma si lamenta del comportamento del padre e del socio in affari, Carmelo Panebianco, che un sabato sera si spinsero a vietare l’ingresso in discoteca a Nuccio. Non sanno che gli amici sono i soli che ritrovi al momento del bisogno? Ripeteva William finché riuscì a convincere il padre e il Panebianco a fare visita a Nuccio, al Traforo nei pressi del Fortino, per scusarsi di persona con il giovane Mazzei.

Questa storia è emersa nel corso di indagini condotte dalla Procura di Catania a cominciare del 2011.

Dal punto di vista della Difesa, la Procura avrebbe “partorito un topolino”, basti interrogarsi: se William Cerbo fosse vicino al clan Mazzei, perché impedire l’ingresso in discoteca a Nuccio? E perché Francesco Ivano Cerbo e il socio, Carmelo Panebianco, non riuscirono a rintracciare Nuccio, quando William li inclinò a scusarsi con il Mazzei? E perché Carmelo Panebianco chiese ai Carabinieri di tenere sotto controllo i dintorni della discoteca per scoraggiare eventuali malintenzionati? E perché accusare William Cerbo di estorsione se il signor Moscato, commerciante del settore edile di origine gelese, era stato messo al corrente degli affari della Nicastro Costruzioni e tuttavia ne era cliente?

Secondo il GUP (Giudice dell’Udienza Preliminare) i contorni della vicenda meritano di essere chiariti. Dunque ieri, venerdì 27 febbraio 2015, ha accolto la richiesta del Pubblico Ministero, rinviando a giudizio William Cerbo, Francesco Ivano Cerbo e Carmelo Panebianco. I capi di accusa vanno dall’associazione mafiosa, alla bancarotta fraudolenta, all’estorsione, all’intestazione fittizia di beni.

La prima udienza è fissata il 30 giugno 2015, Prima Sezione Penale. A presiederla sarà il dottore Cavallaro.

Flora Bonaccorso

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