Quos ego…! -
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Quos ego…!

Quos ego…!

Io vi dovrei…!

 L’espressione, tuttora usata come oscura minaccia nei confronti di chi non ubbidisce a un ordine, è desunta dal primo libro dell’“Eneide” (v. 135): «Quos ego…! Sed motos praestat componere fluctus» (“Io vi dovrei…! Ma conviene prima acquietare le acque in tumulto”). Proprio così, dal momento che il gesto compie la parola: «Vi punirò a dovere per la vostra tracotanza», espressione con la quale Nettuno rimprovera Euro, Noto, Africo e Aquilone, i quali, senza un suo ordine, avevano osato sconvolgere dal profondo il mare distruggendo ben 13 delle 20 navi di Enea.

L’espressione “Quos ego…!” – esempio davvero emblematico e allo stesso tempo felice della reticenza o soppressione di una parte del messaggio, in cui il locutore omette qualcosa che acquista rilievo proprio dalla forza evocativa del silenzio, affidandone l’interpretazione al destinatario – dovette essere famosa già nell’antichità, tant’è che si trova incisa ben due volte sui muri di Pompei. E chissà in quanti altri siti ancora dovette essere incisa. Proprio così: per ricordare agli uomini di non violare le leggi, di attenersi scrupolosamente ai doveri loro imposti dall’alto, di rispettare, sempre e comunque, gli ordini ricevuti.

Un’espressione, “Quos ego…!”, tenuta in grande considerazione anche dal Tasso (Gerusalemme liberata, 13,10), e precisamente nell’episodio in cui il mago Ismeno evoca nella selva di Saron un sortilegio invocando i demoni e Satana in persona. All’indugiare delle forze demoniache, minaccia di pronunciare il nome grande e temuto (Demogorgone, capo delle streghe, oppure Dio, Cristo) e conclude: «Che sì?… che sì?…». E non si può, infine, ancora non rilevare che in genere, nel cosiddetto linguaggio corrente, il “Quos ego…! ” si trova talvolta anche sostantivato, come sinonimo, se si vuole, scherzoso di “minaccia”.

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