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Maiora premunt!

Maiora premunt!

Maiora premunt”, sì, “Urgono cose più importanti”: l’espressione, ora di uso comune, significa che occorre fare una graduatoria di importanza delle cose da farsi e che non ci si può perdere in attività di “scarso valore”. O peggio ancora, con lo sguardo rivolto a problematiche che nulla hanno a che fare con i compiti che ognuno di noi, nell’esercizio delle proprie responsabilità, di qualsivoglia genere queste possano essere. Quando altre, invece, sono ben più importanti e urgenti. E quindi, se si vuole, un’espressione che è spesso e in genere impiegata come esortazione e ammonimento a tralasciare ciò che si sta facendo. Proprio così, dal momento che, specie nell’attuale momento storico che il “Paese Italia” sta attraversando, è “micidiale” far precedere i trastulli alle necessità.

Interessante risulta – sempre al fine ultimo di far pienamente comprendere a chi ha orecchie per cogliere non solo e unicamente i “richiami” che gli provengono dai suoi esclusivi bisogni familiari e/o che gli mettono continuamente “sotto gli occhi” i suoi tanti “sodali”, ma principalmente da quell’universo che si morde continuamente la lingua per le innumerevoli difficoltà che giornalmente gli serrano il collo –, sì, interessante risulta andare alla fonte dell’espressione “Maiora premunt”: un passo del poeta epico latino Marco Annèo Lucano, nato a Córdoba il 3.11.39 e morto a Roma il 30.4.65, il quale inizialmente amico di Nerone, per aver aderito, nell’anno 65, alla congiura di Gaio Calpùrnio Pisone contro l’imperatore, ricevette proprio da lui l’ordine di suicidarsi.

Il brano è tratto dal poema epico-storico, “Bellum civile” o “Pharsalia” (1,673 s.), composto da 10 libri, sulla contesa tra Cesare e Pompeo, in cui si sottolinea violenta opposizione all’impero e nostalgia per l’antica repubblica, della quale è difensore il politico e militare Pompeo, mentre Catone l’Uticènse rappresenta l’ideale astratto della libertà. Allontanandosi dal modello virgiliano, Lucano, oltre ad eliminare la materia mitologica, non fa altro che introdurre i discorsi dei personaggi storici, sì, esprime un proprio giudizio, usa toni cupi, tragici, patetici, insistendo sul macabro e sull’orrido: “Terruerant satis haec pavidam praesagia plebem, / sed maiora premunt” (Questi presagi avevano in buona misura atterrito il popolo pauroso, ma altri, ben più spaventosi, avanzano).

Una situazione, quella su cui si sofferma Lucano, che sembra quasi muoversi così come “si spinge” il nostro tempo: sì, stretti come siamo tra mille difficoltà, tra una miriade di pericoli, di affanni, di dolori, che spingono gli osservatori più attenti a “presagi che atterriscono il popolo pauroso, mentre ben altri, ben più spaventosi, avanzano”. Proprio così, lo tengano a mente tutti coloro che hanno responsabilità di governo, a qualsivoglia livello. Pensino, costoro, se davvero si vuole “invertire la rotta”, e quindi “allontanare questi spaventosi presagi”, sì, riflettano sulle “misure da adottare”, subito, sì, senza perdere ulteriore tempo, intervenendo a favore del “popolo basso”, principalmente. In modo da favorire quanti non riescono più a procurarsi neppure l’aria per respirare.

Proprio così, dal momento che “Tempori serviendum est”!

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