“Caino e Abele” a Misterbianco: ucciso per un gelato. Partito il processo in Corte d’Assise -
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“Caino e Abele” a Misterbianco: ucciso per un gelato. Partito il processo in Corte d’Assise

“Caino e Abele” a Misterbianco: ucciso per un gelato. Partito il processo in Corte d’Assise

Una vicenda terrificante e per certi aspetti che ricorda quella di Caino e Abele: un uomo uccide suo fratello. Per motivi legati a questioni di concorrenza commerciale.  E’ quanto accaduto il 12 marzo 2014 a Misterbianco: protagonista Luigi Consoli che, con cinque colpi di pistola, ha ucciso il fratello Giuseppe. Entrambi gelatai, conosciuti in paese, per un fatto che ha fatto scalpore.  E tutto per una presunta “spartizione di aree” per la vendita di gelatai. Con due uomini maturi, uno davanti all’altro, con “ruoli diversi”.

Ieri, davanti ai giudici della Corte d’Assise di Catania (Presidente Grazia Caserta, a latere Sammartino, Pm Agata Consoli) è stato il momento dei testimoni oculari del terribile fatto: la moglie di Giuseppe Consoli, Giuseppa Pappalardo e la figlia Viviana Rita. Poi, è stato sentito anche il figlio Alfio. I familiari si sono costituiti parte civile con l’avv. Miriam Condorelli.

Momenti di particolare emotività, come comprensibile, si sono vissuti, in particolare quando le due donne hanno ricordato quei drammatici momenti di due anni fa.  La figlia Viviana, ad un certo punto, ha detto: “ è un assassino” con riferimento naturalmente all’imputato. Nel ricordo della figlia c’è anche il momento in cui Luigi Consoli spara in testa al padre, a suo fratello. Prima aveva rivolto la pistola contro sua madre, la moglia di suo fratello, colpendola (l’imputato risponde quindi anche di tentato omicidio): oggi Giuseppina Pappalardo si è presentata in tribunale indossando un collare.

L’esame di questi testi dell’Accusa ha fatto rivivere dinamica e motivazioni – se possiamo chiamarle così – del fatto di sangue. E’ venuto fuori il quadro di “discussioni” avvenute ancora prima del 12 marzo, parole e di contrasti insomma, con Luigi Consoli nelle vesti del concorrente commerciale che si lamenta – talora con modalità minacciose – dei luoghi di lavoro scelti dal fratello. Secondo una logica di “appartenenza del territorio” che lascia intravedere scenari da “roba verghiana”. Insomma, la solita Sicilia ottocentesca, ruvida e assassina per difendere la “proprietà”, gli interessi di bottega. Eppure, la Cassazione – ha ricordato l’avv. Gianninò – ha escluso che i dissidi per “spartizione di territorio” costituiscano un “futile motivo”, quindi un’aggravante del delitto.

“E’ un uomo dall’indole violenta” ha ricordato il nipote Alfio, rispondendo alle domande della Difesa (con gli avv. Andrea Gianninò e Francesco Antille).

I difensori dell’imputato hanno sottolineato, più volte, in particolare con riferimento a quanto detto agli investigatori nelle immediatezza del fatto dalla figlia Viviana, su presunte contraddizioni sulla versione dei fatti. La dinamica di questi terribili momenti è controversa, a detta dei legali difensori. Vedremo nelle prossime udienze, a cominciare da quella del 7 luglio prossimo, quando saranno sentiti altri familiari della vittima. Altro elemento del delitto da verificare: come valutare il grosso coltello trovato sotto il corpo della vittima?

Marco Benanti

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