Il contratto di lavoro intermittente per gestire i picchi di lavoro e non solo.....! -
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Il contratto di lavoro intermittente per gestire i picchi di lavoro e non solo…..!

Il contratto di lavoro intermittente per gestire i picchi di lavoro e non solo…..!

Oggi in Italia, a causa dell’emergenza epidemiologica da Covid-19, stiamo vivendo una situazione paradossale: da una parte abbiamo aziende che, non potendo lavorare, sono al collasso economico e hanno la necessità di utilizzare gli ammortizzatori sociali (quando e se arriveranno) per garantire una retribuzione ai dipendenti in forza; dall’altra parte, invece, altri settori produttivi hanno la necessità di reclutare altro personale dipendente, soprattutto nei settori cosiddetti “essenziali” (a titolo esemplificativo e non esaustivo: i settori della grande distribuzione alimentare, le farmacie, le aziende produttrici di mascherine, e i piccoli supermercati), in quanto in questo periodo stanno registrando un surplus di lavoro e di fatturato, ed hanno la necessità di reclutare altro personale dipendente per sopperire alle continue richieste e sollecitudini del mercato.

Per gestire questo tipo di situazione le aziende possono utilizzare il contratto di lavoro intermittente (cd a chiamata).

Il contratto di lavoro intermittente è il contratto, anche a tempo determinato, mediante il quale un lavoratore si pone a disposizione di un datore di lavoro che ne può utilizzare la prestazione lavorativa in modo discontinuo o intermittente (art. 13, co. 1, D.Lgs. 15.6.2015, n. 81);

Il contratto di lavoro intermittente può essere:
1) A tempo determinato
2) A tempo indeterminato

Le prestazioni di lavoro intermittente sono ammesse nei seguenti casi:
– secondo le esigenze individuate dai contratti collettivi (anche aziendali), anche con riferimento alla possibilità di svolgere le prestazioni in periodi predeterminati nell’arco della settimana, del mese o dell’anno;
– in mancanza di contratto collettivo, i casi di utilizzo del lavoro intermittente sono individuati con decreto del Ministro del lavoro. A tale proposito, il Ministero ha precisato che la norma oggi vigente (fino a nuova disposizione) è il D.M. 23.10.2004, ai sensi del quale “è ammessa la stipulazione di contratti di lavoro intermittente con riferimento alle tipologie di attività indicate nella tabella allegata al R.D. n. 2657/1923”: tale Decreto è da considerarsi ancora vigente e, di conseguenza, è possibile rifarsi alle ipotesi indicate dal R.D. n. 2657/1923 per attivare prestazioni di lavoro intermittente (Min. Lav., Interpello 21.3.2016, n. 10);
– in ogni caso con soggetti con meno di 24 anni di età, purché le prestazioni lavorative siano svolte entro il venticinquesimo anno, e con più di 55 anni (art. 13, co. 1 e 2, D.Lgs. 15.6.2015, n. 81).

Il contratto di lavoro intermittente è ammesso, per ciascun lavoratore con il
medesimo datore di lavoro, per un periodo complessivamente non superiore a
400 giornate di effettivo lavoro nell’arco di 3 anni solari, fanno eccezione a tale
limite i settori del turismo, dei pubblici esercizi e dello spettacolo.
In caso di superamento del predetto periodo il relativo rapporto si trasforma in un rapporto di lavoro a tempo pieno e indeterminato (art. 13, co. 3, D.Lgs. 15.6.2015, n. 81).

La retribuzione del lavoratore intermittente è stabilita dal CCNL applicato secondo il livello di inquadramento e la mansione effettivamente svolte, riproporzionata in ragione della prestazione lavorativa effettivamente resa.

Il lavoratore che si mette a disposizione del datore in attesa della chiamata (garantendo quindi la sua prestazione lavorativa in caso di necessità), il datore è tenuto a corrispondergli mensilmente un’indennità di disponibilità.

L’importo minimo dell’indennità è fissato dai contratti collettivi di settore, e non può essere inferiore al 20% della retribuzione mensile.

Il lavoratore che sceglie di essere vincolato alla chiamata del datore di lavoro, in caso di malattia o altri eventi simili, deve informare tempestivamente il datore di lavoro e non ha diritto all’indennità di disponibilità in tale periodo.

Il rifiuto senza giustificazione di rispondere alla chiamata, da parte del lavoratore che ha scelto di essere vincolato alla chiamata del datore di lavoro, può comportare la risoluzione del contratto.

Giuseppe Cardillo – Consulente del Lavoro

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