Randazzo, chiesa di san Nicolò, capolavori artistici abbandonati. Patrimonio culturale a rischio -
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Randazzo, chiesa di san Nicolò, capolavori artistici abbandonati. Patrimonio culturale a rischio

Randazzo, chiesa di san Nicolò, capolavori artistici abbandonati. Patrimonio culturale a rischio

Cambiamenti epocali in vista per la parrocchia dell’antico quartiere greco. Senza la figura di un parroco dalla fine del 2011, a breve sarà accorpata a san Martino e san Francesco di Paola. I fedeli sono in fermento, mentre cresce la preoccupazione per lo stato di conservazione dell’immenso patrimonio culturale che la chiesa custodisce

Prende sempre più piede l’indiscrezione secondo cui il vescovo di Acireale, mons. Antonino Raspanti – recentemente eletto dall’Assemblea Generale dei vescovi italiani vice presidente della Cei per l’Italia meridionale – tra pochi giorni firmerà un decreto per accorpare l’antica parrocchia di San Nicolò a quella di San Martino, che già, a sua volta, da oltre un decennio, accorpa quella di San Francesco di Paola. Le tre parrocchie manterrebbero gli antichi confini e la relativa personalità giuridica, ma perderebbero la figura del parroco stanziale la cui funzione, invece, sarà accentrata da un parroco unico che guiderà contemporaneamente le tre comunità. Pertanto il prossimo parroco potrà scegliere dove avere la residenza. Abiterà nella canonica di San Nicolò o quella di San Martino?

Insomma, sono tempi duri per il motto: “Una chiesa, un campanile, un prete”; ma la storia si ripete sebbene in contesti sociali assai diversi e in continua repentina mutazione. La figura del parroco universale, unico per le tre parrocchie storiche, a Randazzo, fu motivo di dispute antichissime, che durarono quasi un millennio, fra il clero dei tre quartieri medievali. Oggi la situazione è ulteriormente mutata e accorpare le parrocchie è diventata una cogente necessità motivata, soprattutto, dalla mancanza di vocazioni e di presbiteri. Guidare un’antica parrocchia non implica solamente un impegno di natura spirituale, legato alla cura delle anime, ma pone anche questioni materiali come la valorizzazione e la tutela dell’importante patrimonio culturale che le stesse chiese custodiscono. Da qui la necessità di trasmettere anche alle generazioni future un immenso tesoro artistico.

Il ritrovamento, nelle settimane scorse, di un frammento della presunta mano del Piracmone – un’enigmatica e mutila scultura marmorea, localmente conosciuta anche con il nome “Rannazzu Vecchiu”, copia in marmo del 1737 di un’antica statua in pietra ornata da tre simboli: un leone, due serpenti e un’aquila, collocata nel sacrato della chiesa di San Nicolò – ha sollevato un inutile polverone sui social network. Tuttavia, riguardo alla tutela del patrimonio culturale ecclesiale, altre questioni – certamente assai urgenti – si agitano nell’antico quartiere greco della città medievale.

La parrocchia di san Nicolò conserva opere artistiche tra le più pregevoli che la città medievale possa vantare e che vale la pena ammirare. Purtroppo alcuni di questi capolavori sono esposti a gravi pericoli. Giorno dopo giorno l’inesorabile processo di degradazione, dovuto soprattutto all’alterazione dei parametri ambientali (temperatura, umidità e luce), li espone a rischio deterioramento. Pertanto, al fine di preservare i materiali quanto più possibile da alterazioni e modificazioni degradative è necessario intervenire con sollecitudine.

Tra i manufatti artistici che si conservano a San Nicolò uno in particolare mostra un alto grado di sofferenza, molto probabilmente causata all’alto tasso di umidità. L’opera in questione è la Croce dipinta su tavola da un ignoto pittore siciliano della prima metà del XV, mutila delle parti terminali e della cimasa. Insieme all’altra Croce dipinta, che si conserva nella chiesa del Carmine, rappresenta una rarità per Randazzo. L’opera raffigura il Cristo crocifisso dopo l’esalazione dell’ultimo respiro. Il dipinto si rovinò durante i bombardamenti del 1943, ma furono soprattutto le mani profane di alcuni manovali – durante la ricostruzione postbellica – che lo deturparono, pare per accendere un fuoco. Nel dopoguerra, nei primi anni Sessanta, le parti lacunose della Croce furono restaurate, ma con i limiti delle tecniche del tempo. Come documentano le immagini, il dipinto presenta una crettatura molto ramificata. Le zone di ridipintura, in corrispondenza delle stuccature eseguite durante l’intervento di restauro del dopoguerra, mostrano gravi fenomeni di sollevamento dello stucco, con distacco di estese scaglie. Il pericolo di perdita di frammenti di finitura è particolarmente elevato, tant’è che la pellicola pittorica originaria, qua e là, si sta scrostando rovinosamente, forse a causa dell’umidità. L’eccessivo annerimento, molto probabilmente causato da depositi di sporco e dall’ossidazione dei vecchi protettivi, costituisce un elemento di forte disturbo alla lettura dell’opera nel suo complesso. I fenomeni di degrado, molto probabilmente, sono causati dal naturale processo di solfatazione della stuccatura di supporto della pellicola pittorica e dall’applicazione, durante l’ultimo intervento di restauro, di un protettivo di natura organica che ha ridotto il naturale scambio di umidità fra la tavola e l’ambiente, provocando il ristagno dell’acqua di condensa e dell’umidità sulla superficie legnosa.

L’alterazione dei parametri ambientali legati all’umidità di risalita nelle pareti in muratura minaccia pure un’altra pregevolissima opera che ricorda gli schemi compositivi e il modo di dipingere del geniale Antonello da Messina. Il dipinto raffigura la Madonna col Bambino tra le sante siciliane Agata e Lucia. È di autore ignoto e fu commissionato dai rappresentati dell’ormai estinta confraternita della Santissima Trinità, forse la più antica di Randazzo, “Johannes de Troina e Antonius Romeo”. L’opera fu esposta in due importanti mostre, quella sul Quattrocento siciliano e quella memorabile su Antonello da Messina. Fu menzionata dal critico d’arte Roberto Longhi ed è ben conosciuta nella letteratura artistica.

Una particolare attenzione e cura meriterebbe, infine, un altro bel dipinto, con la sua pregevole cornice, realizzato nel 1762 da Ludovico Suirech, un valoroso artista svizzero attivo tra il 1755 e il 1777. L’opera è poco nota e attualmente è collocata sopra il fonte battesimale gotico, nella navata laterale nord. Impolverato, deturpato e lacerato in varie parti, mostra una crettatura molto accentuata che rende la pellicola pittorica poco aderente al supporto di tela. La figura centrale dell’originale e imponente dipinto è rappresentata da Maria Immacolata Concezione. La Madonna con il Bambino, coronata da dodici stelle, è circondata da figure angeliche; mentre, lateralmente, su due livelli, si alternano quattro vergini: santa Barbara e sant’Apollonia, una rara santa Giovanna d’Arco che tiene una bandiera in una mano e l’arco nell’altra, San Giovannino che trafigge un drago alla presenza di Santa Margherita d’Antiochia.

Gaetano Scarpignato

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