Economia sotto il Vulcano: dopo l’ultimo “trauma giudiziario” tempi nuovi, vecchi problemi -
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Economia sotto il Vulcano: dopo l’ultimo “trauma giudiziario” tempi nuovi, vecchi problemi

Economia sotto il Vulcano: dopo l’ultimo “trauma giudiziario” tempi nuovi, vecchi problemi

Catania ha bisogno soltanto di una classe politica, visti anche i risultati amministrativi di questa che ancora parla di sé nei termini di rinnovamento? Forse no, la città necessita – al più presto – di una classe imprenditoriale davvero innovativa.

E non solo: magari anche di un nuovo modello economico, sociale e culturale. C’è, infatti, un dato storico ormai appurato: passano i decenni, si annunciano “cambiamenti” più o meno epocali, e alla fine… i problemi sono sempre gli stessi.

Negli ultimi tempi, Catania ha visto buona parte della sua imprenditoria, almeno quella che andava per la maggiore, alle prese con problemi giudiziari, più o meno gravi, più o meno “diversi” rispetto al passato. Dalla Catania dei “cavalieri” alla Catania dei “nuovi” cavalieri?

Un’ipotesi, forse una realtà che, al di là del merito di ogni singola vicenda, descrive culture e condotte che sembrano somigliarsi. E molto. Allora, probabilmente, è una questione di “blocco sociale”, un’espressione sociologica che fotografa al meglio la realtà di un gruppo di potere che, pur cambiando i volti delle singole persone, esprime una continunità nell’esercizio del dominio.

Che dire, infatti, dell’ennesima disavventura (clicca e leggi Catania, imprenditoria e mafia, operazione dei Ros. Sequestrate le quote azionarie di Tecnis spa, Artemis spa e Cogip srl del gruppo Costanzo e Bosco Lo Giudice) della “migliore imprenditoria” catanese? Stavolta è il caso del gruppo “Costanzo-Bosco”, colosso dell’edilizia e degli affari catanesi?
La società leader del gruppo è la Tecnis Spa, colosso imprenditoriale con un capitale sociale di 32 milioni di euro suddiviso al 50 per cento tra l’Artemis Spa e la Cogip Holding Srl, che si è aggiudicata appalti pubblici per quasi 800 milioni di euro l’anno.

Dalla metropolitana catanese, ai lavori dell’anello ferroviario e del collettore fognario di Palermo, passando per il porto di Catania, quello di Ragusa, l’interporto di Catania oltre alla Salerno Reggio Calabria, ai nuovi ospedali della Sibaritide e della Piana di Gioia Tauro e ad altre centinaia di commesse che hanno fatto della Tecnis la prima impresa del Sud Italia.

Ma a preoccupare i sindacati c’è soprattutto la sorte circa 700 dipendenti diretti, oltre alle altre centinaia di lavoratori coinvolti nelle Ati che ruotavano intorno all’azienda.
Da tempo, i lavoratori protestavano per stipendi arretrati non corrisposti, poi il “botto” di qualche giorno fa.

“Lo Stato deve salvaguardare i lavoratori della Tecnis”. Ha detto il segretario generale della Cgil Susanna Camusso, a Catania per presentare la Carta dei diritti universali del lavoro, commentando il sequestro. “Il messaggio non può e non deve mai essere che il lavoro c’è se c’è la criminalità organizzata, e si perde invece quando interviene la giustizia”, ha detto il leader sindacale.

“Lo Stato deve fare quello che abbiamo tante volte invocato con il nostro disegno di legge ‘Io riattivo il lavoro’, che peraltro ha avuto una prima approvazione da parte del Parlamento”, ha aggiunto la Camusso: “Bisogna avere norme che permettano di distinguere le responsabilità, in particolare le infiltrazioni della criminalità organizzata, dal destino di quelle aziende, attraverso procedure che non siano quelle oggi in atto, che invece spesso portano a perdere le aziende”.

“Tutte le imprese riconducibili alla famiglia Costanzo, e tra queste anche la Tecnis SpA, hanno corrisposto regolarmente somme di denaro alla famiglia catanese di cosa nostra a partire dagli anni ‘90 ed almeno fino al febbraio 2011” –lo sostiene il sostituto procuratore Antonino Fanara, che ha coordinato le indagini con il procuratore facente funzioni Michelangelo Patanè.

Un altro “pezzo” dell’economia catanese, celebrato come esempio di cambiamento, nell’ ambito dell’ “epopea antimafia di Confindustria”, finisce dalle “stelle” alle “stalle”: e ora a rischiare sono i mille e duecento dipendenti circa del gruppo leader nel settore delle grandi infrastrutture, anche perché -da accreditate fonti sindacali- si parla di debiti per quasi 300 milioni di euro. Fallimento dietro l’angolo? O l’amministratore giudiziario, il prof. Saverio Ruperto, farà il miracolo?

Marco Benanti

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