Paolo Borsellino e quel 19 luglio 1992 -
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Paolo Borsellino e quel 19 luglio 1992

Paolo Borsellino e quel 19 luglio 1992

Via Mariano D’Amelio non è solo un nome, è un triste ricordo: un boato avvolge la città. Le persone scappano, il fumo invade la strada. Silenzio nuovamente silenzio. Era già successo, cinquantasette giorni prima. Cosa Nostra decide che è arrivato il turno di Paolo Borsellino.

imageIl 19 luglio 1992, alle 16,57 Borsellino arriva in via Mariano d’Amelio, mentre l’autista Antonino Vullo rimane al volante per fare inversione, altri cinque agenti della scorta, Agostino Catalano, Emanuela Loi (prima donna a far parte di una scorta), Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina, si posizionano nei pressi del civico 21, dove il giudice si avvicina, schiaccia il tasto del citofono.

Il dispositivo che causò la strage sarebbe stato occultato proprio nel citofono, lo rivela Totò Riina, il capo dei capi di Cosa Nostra intercettato dalla Dia di Palermo per cinque mesi, mentre nel carcere milanese di Opera conversava con Alberto Lorusso.

I resti furono trovati anche a centinaia di metri di distanza. Il corpo di Borsellino era lì, sulla sua terra. L’unico sopravvissuto fu Antonino Vullo, risvegliatosi in ospedale dopo l’esplosione, in gravi condizioni. Borsellino sapeva del carico di tritolo destinato a lui. In quei cento chili era inciso il suo nome. L’intreccio mafia-politica non perdona e lo sapeva: sapeva che la mafia non gli avrebbe perdonato le sue intromissioni, dopo la strage di Capaci cominciò a parlare di se stesso come di un “cadavere che cammina”. Sapeva che avrebbe pagato con la vita il desiderio di voler vedere la propria terra ripulita dal marcio che la mafia aveva portato, parlava di se stesso come di un condannato a morte, sapeva di essere nel mirino di Cosa Nostra e ne parlò molto negli incontri pubblici e durante le sue ultime interviste.

imagePaolo Borsellino divenne noto all’opinione pubblica per un’inchiesta sui rapporti tra mafia e politica nella gestione degli appalti pubblici, entrò nel pool antimafia guidato da Rocco Chinnici. Visse in prima persona la morte di Emanuele Basile, del generale Dalla Chiesa, di Rocco Chinnici, del giudice Livatino e tutte le vicende politiche che segnarono la fine del pool antimafia e la nascita della Superprocura. Al suo fianco, sempre, fedele Giovanni Falcone.

Sono trascorsi ventitre anni dalla strage di via D’Amelio e continuiamo a esigere la verità da uno Stato indifferente e silente: i mandanti occulti non interessano a nessuno, l’agenda rossa scomparsa in circostanze poco chiare e poiché non è il nuovo libro di Moccia non merita l’attenzione della gente.

In Italia, purtroppo, la coscienza civile è svegliata da stragi come quella di Capaci, di via D’Amelio, ma dura solo pochi giorni. L’indifferenza è alla portata di tutti e tutti hanno bisogno di occuparsi di altro: gossip, tendenze e tutto ciò che distragga la mente e il proprio dovere morale. Intorno a questo marcio, troviamo anche persone che difendono i propri ideali, credendo nei propri valori, pronte a condurre una battaglia per rendere migliore un Paese, in nome della legalità, della verità e della giustizia, persone che trovano il coraggio di mettersi in gioco cercando di cambiare un sistema che vuole privarci della libertà e annientare il nostro entusiasmo!

Paolo Borsellino amava ripetere: «E’ normale che esista la paura, in ogni uomo, l’importante è che sia accompagnata dal coraggio. Non bisogna lasciarsi sopraffare dalla paura, altrimenti diventa un ostacolo che impedisce di andare avanti», la scelta di continuare un percorso tracciato da uomini che non si sono arresi non è caratterizzata da gesti appariscenti, ma dal coraggio con il quale difendiamo le nostre idee.

 «Ti dico solo che loro possono uccidere il mio corpo fisico e di questo sono ben cosciente. Ma sono ancora più cosciente che non potranno mai uccidere le mie idee e tutto ciò in cui credo! Si erano illusi che uccidendo il mio amico Giovanni, avrebbero anche ucciso le sue idee e quel gran patrimonio di valori che stava dietro a lui. Ma si sono sbagliati, perché il mio amico Giovanni tutto ciò che amava e onorava, lo amava così profondamente da legarselo nel suo animo, rendendolo dunque immortale». [Paolo Borsellino]

Katya Maugeri

Fonte sito partner siciliajournal.it

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