Scriveva Pippo Fava nel 1981: “Io ho un concetto etico di giornalismo. Un giornalismo fatto di verità, impedisce molte corruzioni, frena la violenza della criminalità, accelera le opere pubbliche indispensabili, pretende il funzionamento dei servizi sociali, sollecita la costante attuazione della giustizia, impone ai politici il buon governo. Se un giornale non è capace di questo si fa carico di vite umane. Un giornalista incapace, per vigliaccheria o per calcolo, della verità si porta sulla coscienza tutti i dolori che avrebbe potuto evitare, le sofferenze, le sopraffazioni, le corruzioni, le violenze, che non è stato capace di combattere”.
Per cui, Santapaola per Pippo Fava era il boss mafioso Nitto Santapaola, per altri iscritti all’albo dei giornalisti era, e lo è stato per tanto tempo, “l’imprenditore edile Benedetto Santapaola”, con qualche problema con la giustizia, altro che mafia.
Insomma, come scriveva Pippo Fava “Un giornalista incapace, per vigliaccheria o per calcolo, della verità si porta sulla coscienza tutti i dolori che avrebbe potuto evitare, le sofferenze, le sopraffazioni, le corruzioni, le violenze, che non è stato capace di combattere”.
Pippo Fava non scrive più, ma continua a vivere anche dopo il 5 gennaio 1984 attraverso la lotta che non conosce lo stop del piombo mafioso, come insegnano, fra gli altri, anche Peppino Impastato e Beppe Alfano.
Orazio Vasta