Racket e usura a Messina: 8 arresti NOMI VIDEO -
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Racket e usura a Messina: 8 arresti NOMI VIDEO

Racket e usura a Messina: 8 arresti NOMI VIDEO

I Carabinieri di Messina hanno eseguito, con il supporto del 12° Nucleo elicotteri CC di Catania, un’ordinanza di custodia cautelare, emessa dal gip su richiesta della Dda guidata dal procuratore Maurizio De Lucia, a carico di otto persone accusate a vario titolo di associazione mafiosa, estorsione, usura, intestazione fittizia di beni e violazioni degli obblighi della sorveglianza speciale, tutti aggravati dal metodo mafioso. Il provvedimento nasce da un’indagine avviata nel 2014 dal Nucleo Investigativo dei carabinieri di Messina che ha preso le mosse dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Daniele Santovito.

Il pentito ha consentito di scoprire il clan guidato da Giacomo Spartà, egemone nel racket dell’usura e delle estorsioni a commercianti e clienti di sale scommesse. I carabinieri hanno accertato che a reggere il clan durante la detenzione del boss era Raimondo Messina, tra gli arrestati di oggi. Altro personaggio chiave è Antonio Cambria Scimone, anche lui finito in manette oggi.

Il provvedimento restrittivo scaturisce da una complessa attività di indagine, convenzionalmente denominata “Polena”, avviata nell’ottobre 2014 dal Nucleo Investigativo del Comando Provinciale Carabinieri di Messina, coordinata dai sostituti Procuratori della Repubblica Liliana Todaro e Maria Pellegrino , che ha preso le mosse dalle dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia Santovito Daniele, i cui esiti hanno permesso di comprovare l’operatività di un a consorteria mafiosa attiva nella zona sud del capoluogo peloritano e riconducibile al detenuto Giacomo Spartà (ininterrottamente detenuto dal 25.03.2003), capo dell’omonimo Clan, egemone nel racket dell’usura e delle estorsioni in danno di commercianti ed avventori di sale scommesse, i cui proventi concorrevano ad alimentare la “cassa comune” della consorteria.

LE INDAGINI

Gli  esiti  dell’attività tecnica  unitamente  a  quella  svolta  con  metodi  tradizionali poste  in  essere  dagli  investigatori  dell’Arma  ha nno  permesso  di  comprovare  i rapporti tra Messina Raimondo e gli appartenenti alla famiglia Spartà. Tant’è che in una circostanza la moglie del boss, in occasione della cessazione della semilibertà   cui   il   Messina   era   sottoposto,   si è  personalmente   recata, accompagnata dai propri figli, a fargli visita presso la sua abitazione. Inoltre il Messina ha manifestato in più occasioni esplicitamente il proprio rispetto verso Antonio Spartà, fratello del detenuto (sebbene non si siano registrati, nel corso delle indagini, rapporti telefonici) incontrandosi sovente de visu con lo stesso.

I RAPPORTI CON LA FAMIGLIA SPARTA’ L’esistenza di un gruppo mafioso stanziato nel territorio del popoloso quartiere a Sud di Messina, denominato Santa Lucia Sopra Contesse, è riconosciuta in diversi provvedimenti giudiziari, alcuni dei quali divenuti definitivi. Gli elementi di prova raccolti  nell’odierna indagine,  hanno  in  sintesi evidenziato  e comprovato  la piena operatività del citato storico sodalizio criminale, ben strutturato e altrettanto ben radicato nel territorio cittadino e  che aveva in programma un numero indeterminato di reati  contro  il  patrimonio  e  la  persona.  Al  vertice  dello  stesso  vi  è  Messina Raimondo, reggente del  clan Spartà unitamente a Nostro Gaetano, entrambi in questo  momento  già  detenuti  per  altra  causa.

L’attenzione  investigativa  si  è inizialmente  concentrata  sul  predetto  Messina  e  su  Lucà  Maurizio,  entrambi indicati quali uomini di fiducia di Giacomo Spartà dal collaboratore Santovito Daniele. Malgrado l’attività investigativa su Lucà sia stata interrotta dopo sole due settimane  –  poiché lo  stesso  era stato  tratto  in  arresto  dai  carabinieri  del  Nucleo Investigativo di Messina a seguito delle risultanze dell’indagine, convenzionalmente denominata “Alexander”, del 9.12.2014 (in quanto ritenuto responsabile di alcuni episodi estorsivi) nonché indagato nell’operazione denominata “Copil”,   del 24.02.2015  (poiché ritenuto responsabile del reato di riduzione in schiavitù di un bambino romeno), ha consentito di censire i suoi rapporti con Cambria Scimone Antonio e, quindi, quelli di quest’ultimo con lo stesso Messina Raimondo.

L’inchiesta svolta nei loro confronti ha permesso di acquisire una notevole mole di materiale probatorio a carico di tutti gli odierni indagati, consentendo di delineare i ruolo dei due promotori dell’associazione mafiosa quali terminali degli affari illeciti e dei conseguenti proventi dell’organizzazione. Infatti dalle progressioni investigative è emerso in maniera incontrovertibile che lo stesso Messina, gestiva la cassa comune del gruppo, alla quale attingeva anche per il sostentamento dei detenuti e delle loro famiglie.

La consorteria mafiosa si è costantemente dimostrata capace di interferire e di condizionare l’attività di alcuni imprenditori messinesi, non solo imponendo assunzioni  di  personale indicato dai  sodali, ma anche imponendo loro  le scelte imprenditoriali. In particolare, è stato accertato nel corso dell’inchiesta come, al fine di eliminare del tutto la concorrenza al bar “il Veliero”, riconducibile a Saro Messina, un pasticcere sia stato obbligato ad interrompere la vendita di bibite e caffè all’interno alla propria pasticceria, adiacente al citato bar , poiché, a giudizio degli odierni indagati, sarebbe stato responsabile di un calo degli introiti.

In un ulteriore episodio, un imprenditore attivo nel settore del commercio all’ingrosso di prodotti alimentari, è stato costretto con violenza e minaccia ad interrompere le forniture di carne e lavorati di macelleria ad alcuni ristoranti cittadini per favorire la nascente attività di macelleria di uno degli indagati.

Altra fonte di intromissione nel normale svolgimento dell’attività imprenditoriale delle vittime è stata individuata nell’acclarata consuetu dine di imporre l’assunzione presso i loro esercizi commerciali, di parenti e conoscenti degli indagati, oltre che di impedirne il licenziamento.

Ulteriore lucroso settore di interesse dell’associazione si è dimostrato essere quello delle estorsioni in danno dei giocatori, frequentatori di alcune sale gioco cittadine controllate dalla stessa consorteria.

E’ stato documentato, infatti, come in un caso alcuni degli odierni indagati abbiano costretto il titolare di una sala scommesse a cedere loro la proprietà, a causa delle difficoltà economiche dallo stesso palesate, pretendendo anche  il  pagamento della somma di  5.000  euro,  per una serie di giocate effettuate con denaro “a credito” delle società di scommesse (che lo stesso aveva  effettuato  quando  era  titolare  dell’esercizio  commerciale).

Ma  ben  più incisivi sono risultate le modalità  con  le  quali  i  giocatori  sono  stati  costretti  a pagare i debiti di gioco contratti con i gestori delle sale. In particolare, sono stati censiti  numerosi  episodi  in  cui  il debitore dapprima è stato esplicitamente minacciato  di violenza e ritorsioni  fisiche (“ti spezzo le gambe”) e successivamente, allorquando la minaccia si rivelava infruttuosa, i sodali facevano esplicito riferimento alla propria fama criminale nonché alla loro appartenenza all’associazione mafiosa.

Pertanto, ricorrendo a tali forme di  coartazione,  gli odierni indagati riuscivano, con sistematicità, a recuperare tutti gli asseriti crediti vantati (che variavano tra i 3.000 ed i 10.000 Euro).  Al  riguardo,  appare significativa la vicenda che ha visto coinvolta una commerciante cittadina, frequentatrice  di  una delle sale giochi investigate che, a fronte di  un debito contratto ad un tavolo da poker illegale, pari a circa 6.000 euro, è stata costretta dapprima a versare 10.000 euro in contanti, poi a consegnare un anello del valore stimato in 6.000 euro ed infine un orologio di una nota marca svizzera del valore di mercato pari ad euro 4.000.

Nel corso dell’inchiesta è stata comprovato anche il ricorso all’usura in danno di una commerciante che versava in evidenti difficoltà economiche. In particolare la vittima, titolare di una nota gioielleria cittadina, per far fronte a piccoli debiti con i fornitori  per  un importo totale di 4.000 euro, ha dovuto consegnare nel  breve volgere di soli sei mesi la somma di 8.500 euro, di cui 4.500 a titolo di interessi. Non contenti, alcuni degli odierni indagati hanno costretto l’imprenditrice a consegnare anche alcuni preziosi, per un controvalore commerciale complessivo di ulteriori 1.000 Euro. La stessa, incoraggiata dall’essere riuscita a far fronte alle pretese degli usurai, ricorreva agli stessi usurai anche in altre occasioni: in particolare in una circostanza, a fronte di un prestito iniziale di 2.000 euro, in sei mesi ha dovuto consegnare 4.500 euro mentre in un’ulteriore episodio ha richiesto un prestito di 5.500 euro restituendone, entro trenta giorni, 9.000.

L’organizzazione aveva individuato la propria base logistica, luogo sicuro ove incontrarsi  per parlare riservatamente degli affari  illeciti,  presso il  bar “Il Veliero“, gestito ed amministrato da Messina Raimondo, sebbene formalmente di proprietà della propria madre. Nel corso delle indagini, infatti, è stato registrato un mutamento societario totalmente orchestrato da quest’ultimo, unico punto di riferimento per i professionisti che hanno formalizzato detta operazione, avvenuta senza che sia mai stato richiesto alcun parere alla madre, socia unica dell’impresa e amministratore della stessa.

In  concomitanza  con  il  mutamento  societario, Messina Raimondo  si  è anche occupato uti dominus della ristrutturazione del locale, seguendo sempre in prima persona anche i rapporti con i dipendenti – decidendo licenziamenti ed assunzioni – nonché con i fornitori, il che consente di ritenere che la titolarità dell’esercizio da parte della madre, avesse quale unica finalità quella di sottrarre il bar ad eventuali misure patrimoniali a suo carico.

Sono 8 i provvedimenti cautelari custodiali eseguiti dai Carabinieri del Comando Provinciale di Messina a carico dei sottonotati indagati:

    1. BONASERA Angelo, nato a Messina il 22.11.1965, attualmente detenuto presso il carcere di Messina Gazzi, per altra causa;
    2. CALIO’ Antonio, nato a Messina il 09.09.1983;
    3. CAMBRIA Giuseppe, nato a Messina il 23.06.1972;
    4. CAMBRIA SCIMONE Antonio,  nato a Messina il 15.04.1968;
    5. FERRO Tommaso, detto “Masino”,  nato a Messina il 27.01.1977;
    6. GUARNERA Lorenzo, nato a Messina 20.03.1961, attualmente detenuto presso il carcere di Caltanissetta per altra causa;
    7. MESSINA Raimondo, detto “Saro”,  nato a Messina il 25.08.1972, attualmente detenuto presso il carcere di Milano-Opera, per altra causa;
    8. RUSSO Alfio, detto  “Massimo”,  nato  a Messina  il  11.1970,  ivi  residente, destinatario di ordinanza di custodia cautelare di sottoposizione agli arresti domiciliari.

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