Graniti, l’eroico papà del tenore Giovanni D’Amore -
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Graniti, l’eroico papà del tenore Giovanni D’Amore

Graniti, l’eroico papà del tenore Giovanni D’Amore

L’artista, residente in Portogallo, è in vacanza nel paesino d’origine, dove ne sta approfittando per realizzare dei videoclip musicali ambientati nei vari luoghi della sua infanzia. Ma preferisce parlare dell’anziano genitore, che per il suo coraggio si meritò, addirittura, l’encomio solenne dell’allora ministro degli Interni Mario Scelba

Una lunga vacanza in Sicilia per stare un po’ accanto agli anziani genitori ed alla sorella, rilassarsi, rigenerarsi e trarre, al contempo, nuovi spunti per la sua intensa attività artistica: è quella che sta trascorrendo nella sua Graniti il tenore Giovanni Concolino D’Amore, felicemente sposato e residente in Portogallo, dove una ventina d’anni fa ebbe modo di conoscere e frequentare la compianta “regina del Fado” Amalia Rodrigues e dove oggi è uno dei personaggi più apprezzati del mondo della canzone e dello spettacolo, come si evince anche dalle sue frequenti partecipazioni a popolari programmi della televisione di Stato portoghese.

Il maestro D’Amore, comunque, non è un tipo cui piace stare con le mani in mano: anche durante queste giornate di relax nel paesino siciliano d’origine, il piacere di rituffarsi nei luoghi della sua infanzia gli ha offerto lo spunto per realizzare dei video musicali finalizzati a promuovere, oltre che la sua voce ed il suo repertorio, anche la natura, le opere d’arte, le chiese e le strutture turistico-ricettive di Graniti, facendo soprattutto leva sugli ambienti che Francis Ford Coppola utilizzò nei primi Anni Settanta come set del suo capolavoro cinematografico “Il Padrino”. Così, quanto girato in questi giorni dall’artista sotto la sapiente guida del giovane regista francavillese Francesco Campo, darà al piccolo centro dell’Alcantara una notevole visibilità sulle reti televisive portoghesi e, a livello mondiale, sui seguitissimi canali Mtv e YouTube.

Ma il maestro D’Amore (il cognome materno è quello che utilizza come artista, ndr) durante questo suo soggiorno siciliano, più che parlare di sé e della sua attività artistica, preferisce far accendere i riflettori sul papà Franco Concolino, un ancora arzillo ottantacinquenne nativo della Valtellina (esattamente di Novate Mezzola, in provincia di Sondrio), da cui Giovanni ha ereditato l’amore per la musica.

«Mio padre – sottolinea il cantante – è stato sempre un tipo gioviale ed alla mano con tutti e, nelle serate con gli amici, imbracciava spesso la chitarra mentre intonava gli allegri canti popolari della sua terra, tra cui l’esilarante “Spazzacamino”. Allora, con qualche chilo in più di adesso, somigliava molto al grande Domenico Modugno. Se ho intrapreso la carriera musicale lo devo principalmente a lui, sia perché mi ha fatto “respirare” musica sin da quando ero bambino e sia perché ha fatto trasferire tutta la nostra famiglia a Parma per consentirmi di frequentare il locale Conservatorio».

E questo carattere brioso e socievole ha sempre contraddistinto il signor Concolino, malgrado le fatiche da lui quotidianamente affrontate nella sua dura occupazione di operatore edile con la ricercatissima qualifica di “professionista scalpellino”, grazie alla quale venne assunto da un’azienda leader italiana nel settore delle costruzioni, alle cui dipendenze ha lavorato nei più svariati angoli del pianeta (Colombia, Caraibi, Iran, Iraq, Libia, Algeria, Francia, Svizzera, ecc.). Ed a portare la sua “firma” sono anche delle importanti opere infrastrutturali realizzate a Messina e provincia, come le gallerie dell’autostrada e l’acquedotto del capoluogo peloritano. «In quei periodi – ricorda il figlio Giovanni – abbiamo abitato in diverse località del Messinese ubicate nei paraggi del tracciato autostradale su cui papà lavorava, ossia Scaletta, Mili San Marco, Mili Marina e Mazzeo».

Ma la Sicilia, Franco Concolino aveva avuto modo di conoscerla e frequentarla già da prima per ragioni sentimentali: dei suoi familiari erano, infatti, imparentati con quella che sarebbe divenuta la compagna della sua vita, ossia la signora Carmela D’Amore. «Quei parenti comuni – interviene quest’ultima – gli dissero che in Sicilia, nel paesino di Graniti, c’era la ragazza adatta per lui e gli mostrarono, come si usava a quel tempo, una mia foto. Franco si invaghì subito di me, mentre io nutrivo qualche riserva sul fatto che quell’uomo potesse diventare mio marito. Frequentandolo, però, me ne sono innamorata follemente, attratta dalla sua personalità e dai suoi modi di fare. Ed ancora oggi ci amiamo come allora».

«Ma quel che pochi sanno – tiene a rimarcare il maestro D’Amore – è che il mio papà è stato soprattutto un eroe, come attesta un’apposita pergamena di benemerenza rilasciatagli il 20 maggio del 1954 dall’allora ministro dell’Interno Mario Scelba».

Da giovane, infatti, prima di diventare un esperto muratore, Franco Concolino esercitava professionalmente e con successo l’attività di pescatore nei laghi della Lombardia, generosi habitat di prelibate specie ittiche d’acqua dolce come anguille, trote, lucci, carpe e tinche. Avvenne così che, durante una battuta di pesca, l’allora poco più che ventenne Concolino, da abile nuotatore, salvò la vita nientepopodimeno che al blasonatissimo conte Borromeo, discendente del celebre cardinale citato dal Manzoni nelle pagine dei suoi “Promessi Sposi”.

«In pratica – spiega Franco Concolino rievocando il memorabile gesto – il nobile era a pescare insieme ad altri due amici, quando la loro imbarcazione improvvisamente si capovolse. I tre caddero, quindi, in acqua, ma io, attirato dalle grida d’aiuto, mi diressi a gran velocità verso di loro con la mia barca e, tuffandomi, sono riuscito a trarli in salvo. Dati la notorietà ed il prestigio di una delle persone cui avevo salvato la vita, il ministro Scelba ritenne doveroso insignirmi di un attestato di pubblica benemerenza, che ancora conservo gelosamente tra le mie scartoffie. Ma andando per laghi a pescare ne ho viste di tutti i colori. Ricordo, ad esempio, quando tirando la rete ci comparve il cadavere di un carabiniere».

Oggi, dunque, quest’umile ed indefesso lavoratore, dopo un’esistenza particolarmente intensa e persino “eroica”, si gode la sua vecchiaia nel piccolo centro di Graniti, attorniato dall’affetto della moglie, della figlia e dei tanti amici del luogo di cui, lui venuto dalla lontana provincia lombarda, è riuscito ad accattivarsi subito la stima e la simpatia.

«Ma nella sua profonda umiltà – conclude il figlio Giovanni Concolino D’Amore – mio padre non ha mai fatto “pesare” questi suoi eroici trascorsi di vita, che io, invece, ritengo doveroso evidenziare, piuttosto che stare sempre a parlare e scrivere di me e dei miei successi artistici. Oggi la mia generazione e quelle ancora più giovani non attraversano certamente una bella fase perché in giro c’è poco lavoro un po’ in tutti i settori. Indubbiamente, ai tempi di papà lavoro ce n’era molto di più, ma nessuno regalava niente a nessuno e per sfamare la famiglia e far studiare i figli bisognava affrontare notevoli sacrifici, magari sballottati da una parte all’altra del mondo in occupazioni che richiedevano una straordinaria resistenza fisica. Mio padre, pertanto, è un uomo da ammirare e prendere a modello: sicuramente un “eroe”, al di là di quel famoso episodio che gli fece meritare il solenne encomio dello Stato italiano».

Rodolfo Amodeo

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FOTO: Giovanni D’Amore durante un concerto e con la mamma Carmela ed il papà Franco, che mostra l’attestato di benemerenza del ministro Scelba; di seguito altre immagini di Franco Concolino in vari momenti della sua vita e del suo lavoro all’estero

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