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Tra… “Infime dissonanze”

Tra… “Infime dissonanze”

Pubblicata la raccolta poetica in lingua italiana di Senzio Mazza, originario di Linguaglossa, che presenta una ricca prefazione curata da Marinella Fiume

 “Infime dissonanze” (Le Farfalle, Valverde 2013) è l’ultima raccolta poetica di Senzio Mazza, il poeta linguaglossese che, da circa cinquanta anni, vive in Toscana, ma porta dentro di sé il mondo della sua adolescenza e giovinezza pieno di belle speranze pur nella povertà e semplicità della vita quotidiana di quegli anni. Tuttavia, nel corso della sua vita e in luoghi diversi da quello natìo, i sogni giovanili, la semplicità di vita e il rapporto con la natura vengono frustrati da un’umanità cinica e affarista e il poeta avverte la solitudine (“e mi sento straniero sulla terra”) nella denuncia degli idoli bugiardi e delle false culture: “Diseredati d’ogni amore/ andiamo dispersi/ nella fuliggine improvvisa/ che genera ombre/ dentro la storia bugiarda/ e senza pudore/ ci presentiamo vestiti da uomini”.

Mazza, fino agli anni Settanta scrisse in lingua italiana, ma poi decise, di fronte all’ermetismo dominante, di riprendere la lingua dei padri, ovvero il siciliano. Ora, ritorna alla lingua italiana e intende dare incisività e forza comunicativa al grido di dolore di chi vede la società avviarsi verso una scellerata ricerca dell’effimero, del facile successo, della aderenza solo formale ai valori, dello spudorato tornacontismo, della politica indecente e della Chiesa ufficiale con gli “esaltati plaudenti/ che confondono un uomo paludato/col Cristo finito sulla croce”, della perenne distanza tra i potenti e i derelitti. In quest’ultima opera il poeta vuole “sussurrare dissonanze infime/agli eletti di spirito”, esprimere l’“ansia perversa” del vivere di oggi e denunciare l’assurdità di questo mondo, senza rinunciare però a sporcarsi le mani nella storia e chiedere a gran voce una società più giusta e una vera democrazia. Il tono diventa più intimo quando, nella corsa verso la morte (“È difficile dire che ‘siamo’/ se all’istante possiamo/non esserci …”), egli lancia un messaggio, quello di riscoprire la natura nella sua genuinità.

Nella puntuale e ricca prefazione, Marinella Fiume nota, opportunamente, a proposito della lirica “Lasciti”, che il poeta pare che «voglia accomiatarsi dal mondo lasciando agli uomini un’eredità immateriale d’amore e una materiale, che in realtà tutti possederemmo già se al possesso sostituissimo il rispetto e se riuscissimo a vedere quello che ci sta intorno che la nostra cecità ci impedisce di scorgere: la natura incontaminata da scoprire con le lenti del fanciullino pascoliano che ci permetteranno di scorgere miracoli invisibili ai più, dalle “timide mammole di bosco” ai “lampi di allegre lucciole”. È questo l’unico paradiso possibile – pare volerci suggerire pareneticamente il poeta – ora che il paradiso è perduto».

La lingua italiana sembra trasportare in una dimensione universale il vissuto dolente del poeta, ma si avverte , comunque, la linfa vitale che proviene dalle dure radici delle ginestre dell’Etna. L’opera verrà presentata, prossimamente, a Giarre per iniziativa della Società Giarrese di Storia patria e Cultura.

Giovanni Vecchio

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